Solo un anno fa l'Italia era in preda allo scandalo del "calcio truccato", manco fosse Prosecco o Pinot Grigio. Girava una battuta, solo un anno fa: "in Italia la rivoluzione non si puo' fare, tutti siamo amici di qualcun'altro!"
Aristide non crede che le nuove forme di comunicazione interattiva su Internet siano una vera e propria rivoluzione. Sono una novità che presenta più opportunità che minacce, soprattutto per gli operatori del vino più piccoli, che per dimensioni economiche e finanziarie hanno scarso accesso al grande circo della comunicazione globale tradizionale.
Mi sorprende sempre, però, constatare l'estrema vitalità della società italiana quando... sente di dover reagire ad una "novità" che potenzialmente insidia qualche equilibrio di interessi corporativi, in perenne conflitto tra di essi e, soprattutto, con gli interessi di una società più aperta e libera. Ignavi nelle rivoluzioni, scienziati delle restaurazioni, ecco cosa siamo.
Siamo una società vitale ed efficientissima nell'avversare i
cambiamenti e soffocare le novità, in particolare quelle veramente
"pericolose" per i delicati equilibri neo-feudali da tempo stratificati
nel nostro vivere quotidiano.
L'ennesima riprova mi arriva (grazie ad una segnalazione proveniente dall'ottimo forum RexBibendi) da una iniziativa dell'AIS, Associazione Italiana Sommelier di Roma. Mi duole parlarne, soprattutto perché rischio di farle pubblicità. Si tratta del "Campus sulla Comunicazione del Vino" (qui potete scaricare il file PDF con il programma).
Dove sta il problema che cruccia Aristide? In mezzo a tanti e prestigiosi relatori (ben 31), ad una rassegna di vini italiani e internazionali sulla carta estremamente interessanti, ad un programma articolato in numerose serate (dal 11 ottobre 2007 al 26 giugno 2008) nella prestigiosa cornice del Grand Hotel Parco dei Principi di Roma, cos'è che non torna?
Non torna il fatto che in pieno 2007 si impronti un campus di formazione su aspetti della comunicazione del vino triti e ritriti.
Ed un solo relatore, il prof. Pasquale Mallozzi, docente di Comunicazione all'Università La Sapienza di Roma, che si occuperà di "Comunicazione al tempo di Internet". Di quale tempo di Internet vorranno mai parlare? Del 1956 (nascita della rete per fini militari), del 1994 (nascita del World Wide Web) o del 1999 (nascita dei primi blog)? Di qualsiasi era di Internet parlino, questo è l'unico relatore su 31 che, in qualche modo, informerà i "campisti" dell'AIS sull'esistenza di "certe pratiche" di comunicazione. Per il resto: TV e carta stampata a go-go, giornalisti, radio-tele-conduttori, persino architetti. Forum su Internet? Blog? Web2.0? Wine blogger? Zero. Vuoto pneumatico.
Una tale concentrazione di intermediari della comunicazione dei Main Stream Media da far pensare ad un cimitero degli elefanti, anzi, ad un cimitero degli intermediari della comunicazione.
Intendiamoci, Aristide non se la prende certo con i relatori, se abitassi a Roma mi interesserebbe assai ascoltarli. Ma dedicare tanto spazio alla TV, che è un mezzo dai costi di accesso che pochissime aziende vitivinicole italiane possono permettersi, o alla carta stampata, e trascurare Internet, i blog, l'eCommerce, ecc., mi sembra abbastanza grave. O almeno così sembra dall'esame del programma pubblicato.
La domanda centrale è: su cosa fai cultura della comunicazione, oggi, nel 2007? Sulle cose che già tutti conoscono (TV, carta stampata, ecc.)? O fai cultura sui nuovi mezzi? E a chi dai la parola sui nuovi mezzi? A coloro che li fanno? O a coloro che non vedono l'ora che passi la moda, che torni un po' di ordine, che l'onorata corporazione dei giornalisti - insomma! - è ora che faccia qualcosa per "reagire" alla vulgata di certa comunicazione?
Trascurare le forme di comunicazione diretta con il pubblico, dove il comunicatore si produce la comunicazione da solo senza doverla delegare ai soliti intermediari, mi sembra abbastanza miope. O forse colluso con interessi terzi.
Signori dell'AIS, il business del vino (altro che la sola comunicazione) sta cambiando velocemente, è una notevole responsabilità non tenerne conto.