Raramente Aristide si è concesso elucubrazioni sul mondo dei blog. Detesto l'auto-referenzialità del mondo della comunicazione: più che parlare di blogging, preferisco farlo. Mi è capitato di recente di ragionare sull'essere e fare blog nel vino, e confrontare questi ragionamenti con quanto il pubblico là fuori realmente sembra percepire.
In particolare, mi riferisco alla levata di scudi della stampa nazionale intorno al "caso Grillo" e la conseguente "scoperta" da parte dei giornali italiani del mondo dei blog. E, su un piano assai diverso, mi riferisco anche a quanto succede in queste ore di dichiarazioni di voto per il Premio Blog Cafè di Squisito!, il premio che Aristide ha vinto nel 2006 per la categoria "blog del vino" [a proposito: ho declinato il cortese invito a far parte della giuria rivoltomi da Paolo Marchi, che ringrazio pubblicamente, per impegni precedentemente presi].
Cosa significa compilare quasi quotidianamente un blog del vino [forbitamente: wine blog] o del cibo [food blog]? Qual'è lo scopo di tanta fatica? Qual'è la missione?
Ci sono almeno due scuole di pensiero:
- Blog, fenomeno della comunicazione
La prima sostiene che i blog siano un fenomeno inseritosi nella comunicazione tradizionale, in qualche modo impossessatisi di spazio e attenzione con strumenti relativamente "poveri" (cioè di costo basso) ma molto diretti. Comunicano su qualsivoglia argomento con qualsivoglia grado di libertà, ma con livelli di responsabilità quasi mai direttamente proporzionali alla libertà che si prendono. Semplici consumatori o professionisti alla ricerca di alternative forme di espressione, prendono il megafono elettronico e interattivo e lo usano.
- Blog, fenomeno parte dei processi di cambiamento di un settore
La seconda scuola di pensiero, largamente minoritaria, ritiene che i blog siano non tanto un fenomeno di editoria (individuale o di piccoli gruppi), ma il manifestarsi di un fenomeno di liberazione di nuove energie più ampio, dove le comunità di opinioni si formano per cambiare qualcosa, o meglio, innovare sulla rete e tramite la rete i processi decisionali, informativi, commerciali, persino cognitivi o politici. Con inevitabili impatti anche sui business toccati da queste comunità.
"Aristide" sente di appartenere a questo secondo modo di vedere le
cose. Perchè è nato in un contesto esterno al mondo del vino, essendo
il sottoscritto autore un membro della high-tech community che
ha partecipato a tanti cambiamenti innescati dalle tecnologie della
comunicazione interattiva in questi ultimi vent'anni. E perché ho la
convinzione che nel vino, come in tanti altri settori già toccati da
questa rivoluzione, le cose stiano già cambiando, in velocità e in
profondità.
Per questi motivi ho sempre pensato che fare "Aristide" fosse funzionale a contribuire, nel mio piccolo, ad innovare comunicazione e marketing del vino. Un settore che sento di amare sempre di più e che vedo così diverso, per esempio, dal settore del food e della comunicazione ad esso correlata. Non voglio qui parlare di food
blog. Li conosco poco, e non riesco ad appassionarmi alle ricette, o
alle risse verbali virulente e sterili tra membri della setta sulle stelle Michelin di
Tizio o sulla qualità delle fotografie del blog di Caia.
Più che assegnare generosi premi democratici a dritta e a manca, anche se per puro divertimento (ma i giocatori mi sembrano un po' troppo compresi e coinvolti), sarebbe interessante riflettere sulla natura e sugli effetti del fare blog, oggi.
Io la penso così: i blog sono strumenti potenti al servizio dei consumatori. Dato per buono il livello di competenza dei blogger del vino (così eterogeneo per la presenza di diversi professionisti), è proprio dallo scambio di competenza e conoscenza con i lettori ed altri blogger che nasce il potenziale effetto liberatorio di questa forma di comunicazione. Liberatorio per chi? Ma per i consumatori, cioè tutti noi.
La domanda chiave è: l'irrompere dei blog nella comunicazione del cibo e del vino ha cambiato qualcosa? Il dominio di questa domanda non dovrebbe riguardare il ristretto ambito dell'ipotetico conflitto tra old media (giornali, TV, ecc.) e new media (Internet, ecc.). Ma come è cambiato il comportamento dei consumatori - se è cambiato - e delle aziende? Siamo più liberi, siamo più informati, conosciamo meglio i problemi del vino, abbiamo dato un contributo di idee e informazioni per individuare delle soluzioni? I blog sono o non sono stati decisivi in questo processo di cambiamento? E' ancora presto o è troppo tardi per dirlo? Oppure i blog ripropongono gli stessi contenuti della comunicazione tradizionale, spesso scimmiottandola, e senza innovare o cambiare le regole del gioco?
Se penso ai wine blog in corsa per il Premio Blog Cafè di Squisito!, trovo molto azzeccate le candidature più gettonate di Gianpaolo Paglia [blog: Poggioargentiera] e Franco Ziliani [blog: Vino al Vino] tra i blog completamente dedicati al vino, non meno valide di altre come per esempio il new comer Andrea Gori [blog: Vino da Burde] o Fiorenzo Sartore [blog: Diario Enotecario] o Elisabetta Tosi [blog: VinoPigro]. Sono blogger alquanto diversi per stili, sensibilità, interessi. Ma sono tutti parte, insieme a tanti altri non citati, di questo composito fenomeno di mutazione del business del vino, e non solo della comunicazione.
Per parte di "Aristide", credo sia concluso il lungo periodo di rodaggio del suo autore. Da neofita della comunicazione del vino, ma professionista di altra comunicazione in altri settori, sento finita una fase. Ho approfondito la conoscenza del mezzo, così come dei suoi strumenti (software, fotografie, video). Ho utilizzato questi strumenti con contenuti spesso convenzionali, per fare esperienza e fare test, prestando forse più attenzione al mezzo che al contenuto.
Ora si cambia. O meglio, si accentuerà l'attenzione sugli aspetti che possono maggiormente creare una differenza nel progresso positivo del settore: innovazione tecnologica in equilibrio con la tradizione dei territori, trasparenza verso i consumatori, uso del web per cambiare il business del vino, una grande opportunità per le aziende più piccole e apparentemente più escluse dai mercati globali, in questo momento storico fantastico per essere piccoli e diversi.
Si cambia, dunque, come in tutte le cose del resto. Ma senza perdere di vista il fatto che, comunque e ovunque, sempre di vino si tratta...
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L'immagine di apertura si chiama "Dreams" dell'artista Yuroz, tratta da Jean Stephen Galleries, Minneapolis, USA.