I piccoli produttori sostengono l'industria
Aristide ha visionato il DVD di Sideways (come fare un bel film con budget assolutamente modesto e vincere un Oscar) e il giorno dopo ha letto sulla stampa USA di questo evento, il MKF Research Executive Wine Summit, tenutosi nella Napa Valley il 7 e 8 giugno. MKF è una società di consulenza nel settore del vino, nata nel 1982 agli albori del business del vino in California, che organizza questo meeting annuale con i propri clienti. Uno di loro, Agustin Huneeus (nella foto a fianco), proprietario dell'azienda vinicola Quintessa, parlando dell'impatto del film Sideways sul mercato del vino americano ha svolto alcune interessanti considerazioni sulle quali vi invitiamo a riflettere.
Huneeus, proveniente da una famiglia cilena fondatrice della Concha y Toro, cresciuto in grandi aziende internazionali del settore, viene descritto come un paladino delle identità dei piccoli produttori che le sue aziende acquisivano nel tempo: "le migliori grandi aziende del settore lavorano bene solo quando preservano le individualità dei piccoli winemaker che vengono acquisisti" ha dichiarato aprendo il suo intervento. Ma ecco gli spunti di riflessione:
- Ruolo dei marchi nel mercato del vino:
- la maggior parte dei prodotti confezionati per il consumo di massa tendono a diventare dei marchi, la cui dinamica li porta a rafforzarsi con la crescita delle vendite. I marketer arrivano nel mercato del vino e cercano di applicare le stesse tecniche di sviluppo dei marchi (branding) dei beni di largo consumo, ma non funzionano, il vino "non gli risponde";
- sebbene i grandi gruppi industriali, commerciali e multinazionali (Agustin Huneeus ha da poco venduto Franciscan Estates al gruppo Constellation, concentrandosi su Quintessa) cerchino di trasformare il vino in commodity di marca, l'immagine del vino continua a resistere nella mente del consumatore. "Abbiamo sempre più etichette e tipi di vino - dice Huneeus - e tutte continuano a vendere". I consumatori sono a proprio agio con molti marchi famosi, ma contemporaneamente continuano a ricercare le alternative, di gusto e di prezzo;
- in tutto il mondo questo fenomeno è molto forte (non parliamo dell'Italia, dove abbiamo una proliferazione di etichette forse eccessiva) e non vi sono segni di un'inversione di tendenza: secondo Huneeus, la moltiplicazione delle etichette è il segno della capacità del vino nel resistere alla forza dei processi di marchio - lui usa l'espressione "non-brandization of wine";
- questo fenomeno esprime il bisogno di sviluppare nuovi canali di accesso ai mercati: un'azienda da 10-20 mila bottiglie non può usare gli stessi canali di una da oltre un milione di bottiglie. Negli USA, dopo la recente sentenza che ha liberalizzato la vendita diretta (info qui e qui) è in corso un consolidamento del mercato della distribuzione, ma ancora deve essere sviluppata una struttura distributiva adeguata ai piccoli produttori. Nonostante qualche distributore si stia già specializzando o alcune grandi catene abbiano avviato divisioni commerciali dedicate ai piccoli winemaker, ci sono ancora ampi spazi di mercato e modalità distributive nuove da inventare.
Queste argomentazioni riguardano direttamente la realtà dei nostri molti piccoli e medi produttori. In Italia, un pò in ritardo rispetto ad altri paesi europei, il ruolo della Grande Distribuzione Organizzata sta crescendo velocemente, ma i buyer della GDO sono abituati a trattare per quantitativi rilevanti. I canali tradizionali non sembrano essere in grado di affrontare una sfida così innovativa, impegnati come sono a difendere limiti di prezzo ormai indifendibili e da loro stessi creati. Occorre quindi uno sforzo di creatività competitiva. Come ci hanno segnalato Terry Hughes e Rusvitt in questo post e nei commenti a seguire, non sono tanto i grandi distributori americani a rappresentare la vera opportunità commerciale in un paese così importante per i nostri produttori, quanto l'esistenza di forme distributive in grado di veicolare produttori di modeste dimensioni, ma con prodotti di qualità/prezzo interessanti e soprattutto caratterizzati dai nostri vitigni autoctoni (l'esempio di Astor Wines a New York ci sembra abbastanza illuminante!). E anche in Italia occorrono alternative distributive e nuovi canali adeguati alle necessità dei piccoli ma importantissimi produttori.
Aristide pensa ad una prima soluzione: l'aggregazione in piccoli raggruppamenti (sull'esempio raccontatovi qui del gruppo altoatesino Tirolensis Ars Vini) in grado di costituire un marchio e un marketing comune nella diversità delle rispettive produzioni. Poi occorreranno nuove realtà distributive per nuovi canali e nuove forme di vendita, in grado di raggiungere il consumatore il più direttamente possibile.
In questa sfida si concentrano le opportunità dell'immediato futuro. Il dibattito tra gli esperti in Italia è troppo focalizzato sulla questione dei prezzi. I prezzi sono alti quando i mercati non funzionano correttamente, e il mercato del vino è afflitto da distorsioni nella catena di intermediazione che scarica le proprie inefficienze (chiamiamole così...) e carenze competitive sui prezzi. La dis-intermediazione e la selezione/creazione di nuovi canali commerciali sono invece le priorità più urgenti da inserire in agenda e - più che discuterne - da realizzare con grande velocità.