Vitigni “proibiti”: tra slogan e regolamenti

La Commissione Agricoltura dell’Europarlamento ha approvato lo scorso 5 novembre il “wine package” e il mandato ai negoziati. Ma no: Clinton, Isabella, Noah & co. non sono stati “riabilitati” per legge. E una DOP non si concede per decreto.

Il 5 novembre 2025 la Commissione Agricoltura del Parlamento europeo ha approvato il rapporto sul cosiddetto “wine package” e il mandato a negoziare con Consiglio e Commissione. Il comunicato ufficiale parla di:

  • etichettatura più chiara per i vini a bassa gradazione
    (alcol “0,0%” fino a 0,05%, “ridotto tenore alcolico” ≥0,5% e -30% rispetto alla categoria)

  • più flessibilità nell’uso dei fondi,

  • strumenti di crisi e tutele per le denominazioni, protezione delle IG.

Prossime tappe: annuncio in plenaria il 12–13 novembre e primi triloghi a inizio dicembre.

Cos’è un “trilogo”

Nel gergo dell’UE, i triloghi sono negoziati informali tra i rappresentanti di Parlamento europeo, Consiglio dell’UE e Commissione europea dentro la procedura legislativa ordinaria. Servono a trovare un compromesso su un testo comune che poi deve essere approvato formalmente da Parlamento e Consiglio.

Nel rumore di fondo è rimbalzata - sopratutto nei social - una lettura trionfale: “le varietà proibite tornano”.

Non è così, almeno non ancora. Il diritto UE vigente (Reg. 1308/2013) vieta tuttora specifiche varietà - tra cui Clinton, Isabella, Noah, Othello, Jacquez e Herbemont - per la produzione di vino. In commissione sono stati depositati emendamenti che propongono di cancellare quel divieto, ma il testo approvato non è ancora pubblico nel dettaglio e il comunicato stampa non ne fa menzione. Tradotto: il percorso politico si è mosso, la legge no.

E la scorciatoia “diamogli una DOP” non esiste. Le denominazioni non si assegnano a un grappolo di nomi: nascono da un disciplinare che dimostra un legame stretto prodotto-territorio, passano un’istruttoria nazionale e poi l’esame UE (nuovo Reg. 2024/1143). Prima ancora, i vitigni devono essere autorizzati a livello nazionale. È un lavoro serio, non uno slogan.

Per il settore, la domanda interessante non è “proibiti sì/no?”, ma quale architettura regolatoria ci permette di affrontare crisi di mercato, clima e fiducia dei consumatori senza bruciare credibilità.

Il “wine package” prova a mettere qualche strumento in cassetta. La partita vera si gioca ora nei triloghi: lì vedremo se e come cambierà l’articolo 81 e, più in generale, quale equilibrio tra tradizione, innovazione e mercato uscirà dal negoziato.

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