MetodoContemporaneo, quando le cantine non fanno solo scenografia

Dal convegno al Polo Santa Marta di Verona esce un messaggio chiaro: le art wineries non sono un capriccio da Instagram, ma un pezzo del nuovo paesaggio culturale italiano.


Arnaldo Pomodoro, Tenuta di Castelbuono, foto ©Tenuta di Castelbuono

A Verona, al Polo Santa Marta, il 14 novembre, è successa una cosa che nel mondo del vino italiano capita raramente: qualcuno ha provato a mettere ordine in un fenomeno che tutti vedono, pochi capiscono e quasi nessuno misura. Il rapporto tra arte contemporanea e cantine, le famose “art wineries” che da anni fanno girare foto fighette nei feed social, è finito sotto il microscopio di un progetto serio, con un nome altrettanto serio: MetodoContemporaneo.

Tradotto dal linguaggio istituzionale: l’Università di Verona, insieme a BAM! Strategie Culturali, ha deciso di mappare, raccontare e studiare in modo sistematico le cantine che usano l’arte non solo come soprammobile, ma come parte del proprio modo di stare nel territorio. E poi ha messo tutto online, su una piattaforma che puoi davvero usare per esplorare l’Italia del vino in modo un po’ meno banale del solito.

Che cos’è davvero MetodoContemporaneo

Sul sito ufficiale si definiscono “primo osservatorio permanente in Italia sul dialogo tra arti contemporanee e paesaggio vitivinicolo”. Dietro la formula, l’idea è abbastanza semplice e, soprattutto, utile:

Non è solo un archivio statico: è un sistema vivo che prova a tenere insieme collezioni aziendali, installazioni site specific in vigna, residenze d’artista, musei del vino con una lettura contemporanea, premi per giovani artisti. Insomma, tutto quel magma che da anni ribolle tra arte e vino, ma che finora era raccontato per singole “case history”, mai come fenomeno complessivo.

Dietro c’è NUPART, un progetto di ricerca finanziato dal PNRR, con un obiettivo molto preciso: capire come l’integrazione tra arti contemporanee e vitivinicoltura possa contribuire a costruire un nuovo paesaggio culturale e un turismo più sostenibile.

Non solo belle foto, quindi, ma domande serie tipo: chi ci va in queste cantine? che esperienza vive? che impatto ha sul territorio?

Il convegno di Verona: chi c’era e di cosa si è parlato

Il convegno nazionale di MetodoContemporaneo è stato la tappa di restituzione di tutto questo lavoro. Pubblico misto: mondo accademico, curatori, imprenditori del vino, fondazioni. Un ecosistema, non la solita conferenza autoreferenziale.

Sul palco sono passati nomi che, se bazzichi il vino italiano, conosci bene:
- Vito Planeta con la sua idea di vino come bene comune e Manifesto di Noto;
- Olimpia Eberspacher per Artisti per Frescobaldi, cioè il mecenatismo fatto come si deve e non come slogan;
- Arturo Pallanti di Castello di Ama, dove l’arte contemporanea non è aggiunta, è struttura;
- Tina Guiducci di La Raia, con l’ossessione giusta per l’innesto armonico nel paesaggio;
- Teresa Severini della Fondazione Lungarotti - Museo del Vino, memoria storica;
- Elda Felluga con il Vigne Museum in Friuli, tra arte, natura e perfino musica sperimentale;
- Daniele Capra, curatore di Officina Malanotte, che usa la residenza d’artista in cantina come cantiere di relazioni sociali.

A dare profondità curatoriale c’era Ilaria Bonacossa, oggi a Palazzo Ducale a Genova e già curatrice di progetti come Antinori Art Project e La Raia, che ha messo il tassello delle collezioni d’impresa.

E poi Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, che tra fondazione, parco d’arte a Guarene e produzione di vino “Stellare” è probabilmente una delle figure più interessanti quando si parla di rapporto tra arte, territorio e nuove forme di “mecenatismo di campagna”.

Il messaggio che arriva da queste voci è abbastanza netto: l’arte in vigna non è decorazione di lusso. Non è “mettiamo una scultura vicino al parcheggio così i visitatori fanno la foto”. È una scelta di lungo periodo sul ruolo della cantina nel suo territorio. È prendersi una responsabilità culturale, non solo agricola.

Daniela De Lorenzo, Tenuta Castel Giocondo, Frescobaldi - foto Courtesy of Frescobaldi

Dalla ricerca ai pubblici: chi sono i nuovi visitatori delle art wineries

MetodoContemporaneo non si è fermato alla mappatura. C’è stato un primo evento diffuso, il 17 e 18 ottobre 2025, con 14 cantine dal Trentino alla Sicilia aperte con programmi culturali gratuiti. Non la solita open day per vendere cartoni, ma laboratori, visite guidate “ragionate”, momenti di confronto.

Lavorando sui dati di questa due giorni, il team di ricerca ha iniziato a vedere emergere nuovi profili di visitatori. Gente che non arriva solo per il calice, ma per un’esperienza più complessa, in cui la visita in cantina, il paesaggio, il racconto delle opere e la convivialità si intrecciano.

Questo ha due implicazioni grosse per chi fa vino:

  • la cantina viene percepita come luogo di produzione culturale, non solo agricola;

  • l’enoturismo si sposta piano piano da “consumo del paesaggio” a partecipazione al paesaggio.

Cambia anche il tempo: meno visita veloce pre-pranzo, più disponibilità a sostare, ascoltare, farsi raccontare. Per chi conosce i numeri dell’enoturismo, questo è un ribaltamento non banale del modello.

Il nodo vero: misurare l’impatto, non solo fare storytelling

Uno dei passaggi più interessanti del convegno è la prospettiva a lungo raggio del progetto. Ora che la mappa esiste, che la rete di cantine è stata avviata e che i primi eventi diffusi hanno portato dati reali, si entra in una fase più complicata e più importante: misurare l’impatto culturale e sociale di queste iniziative.

Non basta dire “portiamo cultura nel territorio”. Bisogna capire:

  • chi partecipa, chi resta fuori, chi ci torna;

  • come cambia la percezione della cantina da parte della comunità locale;

  • che tipo di turismo viene generato, quanto è davvero sostenibile;

  • se queste pratiche creano relazioni stabili o solo effetti speciali per qualche weekend.

Nel linguaggio del progetto si parla di “strumenti in grado di certificare l’impatto”. Tradotto: indicatori, metodi, criteri condivisi, che permettano di distinguere chi prende sul serio il proprio ruolo culturale da chi fa solo art-washing. E questo, per un settore dove le mode comunicative durano meno di un ciclo vegetativo, è ossigeno.

Cosa ce ne facciamo, noi, di tutto questo

Se leggi Aristide sei probabilmente una di queste tre categorie: lavori nel vino, sei un enoturista seriale, oppure ti piace capire come gira la macchina del marketing ancor prima di versarti il bicchiere. In tutti i casi, MetodoContemporaneo è uno strumento che ti conviene tenere a portata di click.

Perché ti permette di:

  • vedere dove l’arte in cantina è parte di un progetto coerente, non un oggetto buttato lì nel giardino;

  • scoprire cantine che hanno deciso di esporsi, mettersi in discussione, lavorare con curatori e artisti veri;

  • leggere storie che non sono solo biografie aziendali lucidate, ma narrazioni di conflitti, scelte, rischi, esperimenti.

La sezione “Storie” del sito è forse il pezzo che più racconta la direzione del progetto: dialoghi con Tiziana Frescobaldi, Alessia Antinori, Roberta Ceretto, i Farinetti di Fontanafredda, Maurizio Zanella di Ca’ del Bosco, Vito Planeta, i Pallanti di Castello di Ama. Non profili patinati, ma racconti di come certe famiglie hanno deciso di far convivere vigne, architettura, opere, comunità.

Per un paese che ha trasformato il paesaggio vitato in un fondale da cartolina, questa è una piccola rivoluzione: ricominciare a pensare il vigneto non solo come “vista da vendere”, ma come spazio in cui succedono cose, si producono significati, si costruiscono relazioni.

La fase che si apre adesso è quella meno instagrammabile e più decisiva. La ricerca legata al progetto NUPART, parla esplicitamente di audience development, di turismo culturale sostenibile e di strumenti per misurare l’impatto di queste pratiche sul territorio.
Tradotto in lingua meno paludata: capire se queste iniziative cambiano davvero qualcosa o se restano solo belle storie. Chi partecipa e chi resta fuori. Se le comunità locali si riconoscono in questi luoghi o li percepiscono come bolle per visitatori benestanti. Se il turismo che arriva consuma o si prende il tempo di capire.

MetodoContemporaneo dimostra che l’Italia non è ricca solo di vini e di denominazioni, ma di modalità diverse di trasformare questo patrimonio in cultura vissuta. Non è la solita sovrapposizione forzata “arte + vino”. È un campo di prova, dove si sta cercando una nuova idea di paesaggio: fertile, aperta, un po’ più contemporanea e un po’ meno da dépliant anni novanta.

Chi fa vino ha davanti una scelta abbastanza chiara: continuare a usare l’arte come scenografia, oppure accettare che diventare attore culturale significa studiare, progettare, misurare, coinvolgere. MetodoContemporaneo, con tutti i suoi limiti fisiologici da progetto in partenza, ha il merito di mettere a sistema chi ci sta provando sul serio.

Per chi il vino lo visita, lo racconta o lo vende, è un invito a cambiare anche lo sguardo: non fermarsi alla foto della scultura, chiedersi che storia ci sta dietro, quali relazioni accende. In fondo, “storie in fermento” è una delle espressioni più azzeccate del progetto: perché le storie, come il vino, se non fermentano restano mosto.

Sol LeWitt, Ceretto - © Ceretto, foto Marina Spironetti

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