Etna verso la DOCG, con il brut in mano e la bussola in tasca
Fascetta di Stato in arrivo, forse già dalla vendemmia 2026. Contrade sempre più numerose, ma la zonazione seria dov’è finita? E il metodo classico di Carricante, finalmente, non più eresia.
Etna, cratere Barbagallo
L’Etna corre. I numeri sono da eruzione: 1.347 ettari rivendicati a DOC nel 2024, 230 soci, 5,8 milioni di bottiglie. Il Consorzio Etna dichiara una rappresentatività intorno al 95% dell’imbottigliato e oltre l’80% della superficie. Bene per chi vende, bene per chi compra, benissimo per chi ha scoperto la parola “Etna” nelle carte vini oltreconfine.
Capitolo DOCG. Il MASAF ha messo sul tavolo la solita doppia serratura: servono le firme del 51 percento dei produttori e almeno il 51 percento della superficie. Mancano un centinaio di adesioni, dicono. Se entrano entro dicembre, la fascetta può essere operativa già nel 2026. “Difficile ma non impossibile”, parole del vice capo di Gabinetto Patrizio D’Andrea. Traduzione in italiano pragmatico: smettetela di pensarci, firmate o spiegate perché no.
La messa in bolla per gli editorialisti è servita dal blog Bottle Case, che ha messo in fila il quadro attuale dei soci e delle bottiglie. Dati allineati con la stampa italiana, utili per capire che non siamo a giocare alla DOCG di condominio. Qui ci sono filiere vere.
Fin qui tutto bello, quasi lucido. Poi arrivano le spine.
Contrade, la fiera delle micro menzioni e il fantasma della zonazione
Sì, la mappa ufficiale è stata ripulita e aggiornata, oggi si parla di 142 contrade in 11 comuni. Cartografia seria, GIS e coordinate in chiaro. Un bel passo avanti per smettere di litigare su un confine di muretto a secco. Però rimane la confusione tra unità amministrative e unità pedologiche. Le contrade sono nomi legali, utili in etichetta, non automaticamente sinonimo di terroir. Questo è il punto.
E questa è la mappa.
Ma qui arriva la domanda che brucia: che fine ha fatto la zonazione Etna avviata negli anni 2009–2010 con l’Università di Milano ed esperti locali? Non è leggenda urbana. Attilio Scienza lo disse chiaramente nel 2012: “la zonazione dell’Etna, con Regione Sicilia e Università di Milano, è stata completata a livello di studio del territorio”, salvo poi notare che “tutto sembrerebbe fermo”. Affermazione reiterata negli anni successivi da Valeria Càrastro, agronoma coinvolta nella zonazione e poi direttore della Strada del Vino dell’Etna. Tradotto: c’è stata un’attività scientifica, ma non è mai diventata patrimonio operativo e condiviso della denominazione. Archivio, cassetto, citazione da convegno, fine. Non basta.
Se vogliamo smettere di confondere “contrada” con “cru”, servono due atti semplici e faticosi: pubblicare i risultati di quella zonazione, aggiornarli con dati pedologici (disposizione delle colate laviche, caratteristiche dei suoli, altitudini, esposizione, pendenze), climatici e sensoriali recenti, poi trasformarli in regole e comunicazione. Altrimenti restiamo alla lotteria delle menzioni: tutto è contrada, poco è riconoscibile.
Stili importati, packaging scintillante e la tentazione della fotocopia
La moda Etna ha portato investimenti e tanta visibilità. Anche gente da fuori. Tutto legittimo, tutto benvenuto, finché il calice suona Etna, non ovunque-del-mondo. La stampa internazionale fiuta un territorio “hot”, banche e investitori studiano.
Io qui ho una fissazione: l’identità si protegge con scelte noiose. Rese, tempi di affinamento sensati, gestione del legno che non clacsona, etichette che parlano chiaro.
Se la DOCG serve a qualcosa, serve a togliere spazio alla banalizzazione. Altrimenti avremo rossi che parlano barrique e bianchi che cercano di piacere a tutti. E piacciono a nessuno.
Metodo classico da Carricante, finalmente una frase completa
Adesso viene il divertente. Il disciplinare attuale fa spumante solo in metodo classico, almeno 18 mesi sui lieviti, e lo vuole da uve rosse vinificate in bianco, Nerello Mascalese minimo 80. Punto.
Da mesi però il Consorzio ripete, e la stampa generalista ha rilanciato, che dal 2026 lo Spumante Etna si potrà fare anche con Carricante. Scelta coerente con la realtà del territorio, dove già oggi esistono metodo classico da Carricante che parlano chiaro. Non facciamo i puristi a corrente alternata. Le bollicine bianche hanno senso, purché restino Etna nel profilo, non un clone trentino.
Confini e vecchie cicatrici, il versante ovest resta ancora fuori
La DOC disegna una “C” rovesciata attorno al vulcano. Dentro il nord e l’est e il sud, fuori pezzi dell’ovest storicamente vitati da solamente 1.000 anni circa. Lo sappiamo da anni, lo ripetiamo a intermittenza, poi si cambia argomento. La DOCG non allarga i confini per magia, ma almeno chiariamolo nell’operazione verità che la fascetta si porta dietro. Dire la mappa com’è non sminuisce nessuno, evita solo illusioni cartografiche.
Nota di realismo, senza zuccheri aggiunti
La bozza DOCG non è stata pubblicata, quindi non esiste oggi un testo su cui fare il commento riga per riga. Esistono il disciplinare vigente, le interviste, i comunicati, gli atti del Consorzio, gli articoli con dichiarazioni di funzionari MASAF. Con questo si lavora, con questo si costruisce una rotta sensata. Quando uscirà il decreto, si vedrà se le promesse corrispondono alle clausole.
Fino ad allora, piedi per terra.
La corsa alla DOCG è sensata. Serve per mettere ordine, alzare i paletti e proteggere valore, soprattutto per l’export. Ma la fascetta non lava via i peccati veniali del sistema. Se non sciogliamo i nodi, l’etichetta nuova è un bel cerotto.
La DOCG, se arriva, è un amplificatore. Amplifica il buono, ma amplifica anche il confuso. Scelgano loro cosa mettere al microfono.
La buona notizia è che l’Etna è già nel campionato dei fine wine internazionali. Ora è il momento giusto per rischiare nel modo giusto, che non vuol dire fare di tutto un po’, ma scegliere cosa l’Etna vuole essere tra dieci anni e magari anche oltre.
Da vecchio rompiscatole digitale, dico questo: meno storytelling, più story-doing in vigna e in disciplinare. Il resto verrà. E lo racconterò volentieri, anche se sull’Etna non mi invitano più… :)