A Soave per il manifesto del vino postmoderno

A Soave per il manifesto del vino postmoderno

Soave Preview 2017 e la sala gremita per il seminario "A tutta pergola".

"Uno degli scopi dell’incontro era quello di mettere in discussione un pregiudizio vecchio, ma ancora piuttosto diffuso, che riguarda il rapporto tra forme a pergola e qualità del vino (...) L’uomo è artefice della qualità, con qualunque forma di allevamento; e non può esistere un solo modello mondiale di viticoltura perché i climi, i suoli, i vitigni sono diversi, e su questo fatto anche la tradizione della pergola, dove esiste, trova il suo fondamento".
Maurizio Gily,
I vigneti a pergola, tipicità italiana

Le parole di Maurizio Gily, direttore del magazine Mille Vigne, sintetizzano alla perfezione uno dei momenti topici di Soave Preview 2017, l’Anteprima del Soave - con 92 aziende presenti e 200 etichette in degustazione - i cui seminari e le degustazioni dedicate a biodiversità, cru, pergola e mineralità hanno animato di particolare interesse questa edizione (18-21 maggio), che per la particolare riuscita merita tutti i migliori complimenti per Aldo Lorenzoni - direttore del Consorzio di Tutela del Soave - e tutto il suo staff.

"A tutta pergola" era il seminario dedicato a mettere "in discussione un pregiudizio vecchio", ma al tempo stesso senza crearne di nuovi. E si può affermare che lo scopo dichiarato è stato ampiamente centrato dai suoi curatori - Maurizio Gily e Walter Speller, giornalista britannico e "guida indiana" per l'Italia per i lettori di Jancis Robinson (jancisrobinson.com) - e da Attilio Scienza, professore di viticoltura dell'università di Milano, e Federica Gaiotti, del CRA di Conegliano,  invitati a corroborare con storia e dati le tesi del seminario.

Perché non è stata una contrapposizione del genere "pergola vs. guyot" (l'impianto moderno di scuola francese che si è imposto nel mondo nell'ultimo secolo), ma una riflessione molto più ampia e "laica" sul valore della piattaforma produttiva italiana, la più diversificata e complessa del mondo. Come spiega Maurizio Gily, "la viticoltura rifugge dalle semplificazioni e molteplicità è la parola chiave per spiegare il caso italiano in particolare".

Da sinistra, Walter Speller, Maurizio Gily e Aldo Lorenzoni

Se la pergola nasce in Egitto, ricorda Attilio Scienza, poi i Romani la adottano per i loro giardini, ma saranno i Rèti - la popolazione rètica che popolava le Alpi centrali tra la valle dell'Adige e l'Inn nell'età di Roma Repubblicana e Imperiale - che adatteranno la pergola alla vite. Non è quindi un caso se la pergola ancora oggi sia l'impianto di riferimento in Valtellina come in Alto Adige e Trentino, arrivando a una copertura stimata in Valpolicella dell'80% della superficie vitata e a Soave addirittura dell'85%.

"Molti cliché condizionano la percezione della qualità prodotta dalla pergola e dal guyot per i vini italiani", sottolinea Walter Speller. Il sistema guyot si impose progressivamente in Italia nel XIX e XX secolo, e soprattutto sotto la spinta della rinascita del vino italiano dopo il disastro dello scandalo del metanolo (1986). Mentre molte regioni riorganizzavano il vigneto in questo senso, molta parte della produzione - soprattutto nelle aziende più piccole - impossibilitata per le proprie economie di scala ad accedere alla meccanizzazione, resisteva con le forme di impianto più tradizionali, e la pergola è la principale di queste.

Ora, rilevano Gily e Speller, il pendolo della Storia sta per cambiare il proprio verso: i cambiamenti climatici fanno riconsiderare impianti troppo esposti alla luce solare, le densità eccessive in vigna vengono riviste con occhi diversi, perché concentrazioni e trasparenze del colore del vino sono il miglior segnale dell'origine di un vino e delle sue uve (ricordate che è sempre il primo fattore richiesto dal consumatore, cogliere l'origine!), e perfino in Napa Valley, California, si stanno convertendo allo stile europeo del vino.

Idee olistiche di grande interesse, perché finalmente viene definito un approccio nuovo per traguardare il vino postmoderno italiano, senza ricadere in facili categorizzazioni che non sono altro che gabbie, ma anzi lasciando la libertà di espressione e diversità che è connaturata nel DNA del nostro vino e dei nostri produttori di avanguardia. E' un richiamo alle idee di terroir, vino e industria, evocate da Mario Soldati (leggere qui un mio precedente post) negli anni '70: riversare il grande patrimonio di conoscenze tecniche e scientifiche su ciò che di meglio la tradizione produttiva italiana ha conservato e ha saputo selezionare nel tempo, coniugando gli aspetti più tradizionali (e selezionati dalle pratiche) della viticoltura con gli aspetti delle filiere organizzate a valle della produzione per la commercializzazione moderna.

Una sfida magnifica, per noi indigeni, ma soprattutto per il grande pubblico internazionale della comunicazione e del trade, abituatosi negli anni a semplici formulette - basate su una dozzina di vitigni per poche denominazioni francesi - per spiegare il vino alle masse, quando qui trovano una ben maggiore complessità spesso inspiegabile.

E dalle parole si passa ai fatti, con 12 vini selezionati nella degustazione guidata da Walter Speller e Maurizio Gily, e un'altra ventina disponibili al banco.

Eccoli i vini da pergola, dall'Alto Adige per Soave e fino in Campania:

  1. Cantina Toblino Largiller Bianco IGT Vigneti delle Dolimiti 2007 - Nosiola, sulle fecce per 6 anni! Sapido e croccante, l'argilla e la botte grande lo premiano con un ampio spettro gustativo. Ottimo!
  2. Casa Cecchin Pietralava Monti Lessinia DOC 2011 - Una particolare, distintiva dolcezza da appassimento o vendemmia tardiva, unita all'acidità elevata. Lungo e soddisfacente, di alcol basso, non precisamente elegante ma di notevole identità.
  3. Le Battistelle Roccolo del Durlo Soave DOC Classico 2014 - Cru di 2,2ha, su basalto e tufo, a 250 m. slm. da vigne di 90 anni. Velluto giallo in grande souplesse, naso esplosivo di grande frutta bianca e secca, e zafferano. Ampio, sapido, fresco, lungo. Ottimo!
  4. Filippi Vigne della Brà Soave DOC 2014 - Cru a 380 m. slm. Un po' borderline come vino DOC, da pergola di 60-70 anni. Lavorato con lieviti ambientali. Pulito, ricco nel complesso di acidità e salinità, un buon esempio di vino postmoderno!
  5. Gini Salvarenza Soave DOC Classico 2013 - Basalto in alta collina. Timbro vulcanico netto, sapido alla grande, e salivante, fresco, in continua evoluzione nel bicchiere. Ampio, ampissimo di belle sensazioni, complesso e ricco. La Garganega che stupisce. A mio sommesso parere, dovrebbe essere il riferimento assoluto del Soave DOC.
  6. Tenuta Sant'Antonio Monte Ceriani Soave DOC 2005 - Vigneto "bio" di 50 anni, su tufo e argilla. Colore oro carico, leggera ossidazione anche per il lungo affinamento. Il gusto rimane pulito, fruttato, assai piacevole.
  7. Ancarani Santa Lusa Albana Secco DOCG 2014 - Pergoletta romagnola in conduzione "bio". Fermentato sulle bucce (postmoderno!) in acciaio con lieviti ambientali. Leggera tannicità che crea una trama consistente e grandemente bevibile per l'acidità. Molto interessante, anzi molto buono!
  8. Valentini Trebbiano d'Abruzzo DOC 2013 - Molto particolare questo Trebbiano. Il vigneto è una raccolta di biotipi differenti. Gran naso di frutta bianca, freschissimo, di grande piacevolezza e bevibilità. Si conferma essere un altro vino di riferimento per la categoria "grandi bianchi italiani".
  9. Girlan Gschleier Alto Adige DOC 2015 - Schiava, da vigne vecchie di oltre 100 anni. Tannini morbidissimi ed eleganti, rubino trasparente, agile, nervoso, fresco, di base rustica ma di grande carattere e grande bevibilità. A 12€ è un campione di prezzo/qualità! "Un vino di tacchi alti e caviglie sottili" dice Maurizio Gily, e concordo, eccome se concordo.
  10. Antolini Moropio Valpolicella Classico 2015 - Cru di Marano di Valpolicella. Un bel campione del vino fresco di Valpolicella. Tannini rotondi, acido elegante, lungo.
  11. Piane Le Piane Colline Novaresi DOC 2011 - Boca, terra di porfidi rosa, antica area vulcanica. Blend di Vespolina (parente del Nebbiolo) e Croatina. Pergola a maggiolino, oltre 100 anni su piede franco. Grazie Walter Speller per avercelo fatto conoscere!
  12. Monte di Grazia Rosso di Monte di Grazia Campania IGT 2012 - Vigne di oltre 120 anni, un "vigneto monumento". Acidità estrema per estremo invecchiamento, in questo stadio è quasi inavvicinabile. Ma è una testimonianza di una viticoltura di grande pregio...
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Terroir sauvage

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