Dalle strade di New York (2.a parte)

New_yorkSecondo intervento di Terry Hughes, il nostro "corrispondente" da Manhattan, New York. La prima parte la trovate qui.


Come già accennato, ho scambiato alcune impressioni con l’indaffarata, ma gentilissima, buyer di vini italiani alla Astor Wines, Lorena Asencios. Abbiamo discusso della situazione di mercato attuale per i vini italiani negli USA: ne emerge un misto di buone e cattive notizie, per lo più buone, ma anche un gran caveat centrato sui vignaioli italiani, come vedrete.

La situazione è incoraggiante, in generale: “Non vedo ostacoli ai vini italiani, è una categoria popolarissima per noi.” Però, avverte Lorena, New York non è l’America, purtroppo (e per fortuna). I gusti e le tendenze dei newyorkesi sono diversissimi dal resto degli USA. Secondo lei, al consumatore newyorkese piace assaggiare vini autoctoni e tradizionali dei piccoli vignaioli. Occorre istruirli, certo, ma a loro piace fare scoperte; io aggiungo che i newyorkesi ardono di provare le novita’ prima di tutti gli altri.

Nondimeno, dice Lorena, “alcuni saranno sempre orientati ai marchi”, e forse questi sono consumatori più “normali” rispetto al comportamento del mercato americano.

Tutti vogliono andare in Cielo ma nessuno vuole morire

In ogni caso, Lorena ci dice che la gente compra maggiormente vini autoctoni perchè ce ne sono sempre più da comprare: ecco l’importanza della grande distribuzione americana, che non smorza tutta l'innovazione, anzi cerca novità concorrenziali. “Ah, bravi ‘sti Americani!” vorrete gridare.

Però i commenti di Lorena suggeriscono un problema di posizionamento, di tipo quasi australiano nelle forme e dimensioni: “I nostri clienti bramano buoni vini per meno di $10. E’ stato sempre così, ma non è affatto facile trovare vini di qualità che possiamo offrire a meno di $10. Il mercato annega in vino malfatto, steroidale. E’ questo un dilemma non solo in Italia, ma nel mondo intero.”

OK, si desiderano sapori nuovi, sensazioni ormai sconosciute in questo continente… ma si desidera pagare $10, più o meno (meglio meno, naturalmente). Ah no, non siamo tutti dei Wall Street Superstars o plutocrati Hollywoodiani; alcuni di noi sono professori o camerieri: "$10, no problem. $25, a problem. $40, fuggeddaboutit", come si dice a Brooklyn (“scordatevene!”).

Io non voglio morire, ma il Cielo, sì, è un mio diritto di Americano.
Per solo $10.

Amici Italiani, sono io il solo a vedere una situazione insostenibile? Bisogna cedere il mercato USA agli Australiani ed Argentini, venditori di prodotti economicissimi, dallo Shiraz pesante e dolce al Malbec spesso adulterato e vile? Se lo cediamo a costoro, quanto vuole pagare l’America per un Super-Cirò? O un Super-Frappato? A $15, $20, può darsi.  A $40, $60, fuggeddaboutit !

Ancora Lorena: “Occorre che i  vignaioli pensino una strategia di lungo termine. Trend e tendenze ce li abbiamo, ma possono svanire al battere di un ciglio. Gli Italiani debbono concentrarsi nel fare vini a prezzi onesti, prodotti che sono puliti e sani. A New York, almeno, il consumatore riconosce il vino off oppure chimico. Per il vostro proprio bene, fate del vino memorabile a costo competitivo!”


La sfida americana, anzi romena

Il futuro avrà un antico vitigno. Ma sarà italiano? Questione difficile. Vedete questo articolo su Wine News del 14 giugno. Un proprietario del Chianti Classico investe in Romania, poi “vicino il debutto in Italia delle etichette romene”. E scommetto che, entro due o tre anni, le stesse etichette si vedranno sugli scaffali dei supermercati d’America, chissà anche nei Wal-Mart. A prezzi ultra-derisori. Con etichette leggermente italianizzate.  Sfruttando vitigni autoctoni romeni, perbacco.

Allora cosa accadrà ai marchi italiani di valore scadente - in Italia medesima? Meno spazio sugli scaffali, e come sappiamo, “shelf space is everything” (lo spazio sugli scaffali è tutto). In questo caso, i vitivinicoltori d’Italia dovranno scegliere: o il modello francese (manifs - manifestazioni, ndt. - ed etanolo) o quello d’Australia (un Leopard Winery in Lampedusa, perchè no?). Oppure  l’Italia diventa più se stessa, avendo cura di  riposizionarsi e centrarsi sulla fetta più affluente del mercato.

Prossima puntata: Altri pensieri, altre critiche e altre soluzioni proposte da Sergio Esposito dell’Italian Wine Merchants.
Continueranno le notizie buone e cattive.

Non c’e vigna senza filossera…

Oscar del Vino 2005, vetrina d'Italia?

Flash dai wine blogger (2)