Fine Italy: esperienze, timer e buyer. Ma la GenZ dov’è?
Riva del Garda ha messo in scena il primo salone B2B dell’enoturismo in Italia: format chiaro, numeri interessanti, buyer profilati. Tutto bene? Quasi. Resta il nodo grosso come una botte: nell’epoca della dis-intermediazione, perché un trentenne digitale dovrebbe rivolgersi a un tour operator per visitare le cantine?
A Riva del Garda l’aria era diversa dal solito evento enoico. Pochi calici in giro, zero stand scintillanti, nessuna passerella di etichette. Il cuore di Fine Italy #Wintetourism Marketplace (28–29 ottobre) batteva in area meeting: tavoli uguali per tutti, agenda serrata, timer che scandiva mezz’ora a colloquio e via al gong successivo.
Uno “speed date” molto ben organizzato, con 1.400 incontri pre-selezionati tra 76 espositori (Italia e Spagna) e 74 buyer da 24 Paesi. Il 65% arrivava dall’Europa, l’8% dal Sud America, il 5% dal Nord America. Un esordio che, per un salone B2B puro sull’enoturismo, fa curriculum.
La “lezione” che i buyer hanno recapitato alle cantine è stata spiazzante e utile: non cercavano il vino, ma le experience. Logistica, capienza, attività sul posto, mobilità dei turisti, proposte chiavi in mano. Degustazioni tecniche? Relegate al wine hub. La richiesta è chiara: l’enoturista non vuole più solo assaggiare, vuole vivere. Il vecchio faldone sulle etichette è rimasto sul tavolo, vanno invece a ruba brochure sull’accoglienza e micro-format creativi (dal “painting col vino” ai corsi, ai percorsi natura). Se siete cresciuti con l’idea “prima il vino, poi tutto il resto”, qui vi tocca ribaltare la prospettiva.
C’è anche un pezzo di verità logistica e politica: alcune regioni non si sono viste (Sardegna, Piemonte, Lombardia), mentre collettive del Sud hanno spinto forte, abbattendo i costi di presenza e facendo massa critica. Il confronto non scritto con Vinitaly Tourism è inevitabile, ma il punto non è il derby: sono proprio due formule diverse. Verona ha “parlato” d’enoturismo; Riva ha comprato e venduto appuntamenti. In mezzo, per fortuna, contenuti: interventi pratici su come strutturare l’incoming, dalla professoressa Roberta Garibaldi a Paul Wagner.
Poi è arrivato l’elefante digitale nel salone. Roberta Garibaldi lo ha detto senza giri: quasi metà dei viaggiatori chiede all’IA di costruire un itinerario; emerge solo chi ha presenza digitale forte, contenuti accurati, dati aggiornati, recensioni, orari tradotti, foto decenti. E no, le cantine italiane non sono pronte: nell’ultimo triennio solo l’1,2% degli investimenti è finito su soluzioni IA e il 2,9% su CRM. Intanto l’enoturismo incide già per oltre il 30% dei profitti in molte aziende, con prezzi medi per visite/degustazioni tra 36 e 50 euro (51% dei casi), e sopra i 50 nel 23%. Il settore cresce, ma con infrastruttura digitale rachitica.
C’è anche un cortocircuito curioso: il 90% delle aziende usa Facebook e l’88% Instagram, ma TikTok lo presidia appena l’8%, YouTube il 17%. Proprio i canali dove sta la GenZ, il target che tutti dicono di inseguire e che l’IA “premia” nei risultati quando trova contenuti nativi, verticali, ripetibili. Lavoriamo per l’enoturismo, ma comunichiamo ancora come dieci anni fa.
Qui arriva la domanda scomoda. Se Fine Italy è centrato sugli incontri B2B (cantine ↔ buyer, soprattutto tour operator e agenzie), perché nel 2025 un nativo digitale dovrebbe rivolgersi a un intermediario per pianificare un wine tour? Non per spirito di contraddizione, ma perché i dati - fuori dal recinto del vino - dicono un’altra cosa: studi cross-culturali mostrano una forte preferenza GenZ per prenotazioni autonome online, scelte spinte da social come TikTok e Instagram, oltre a strumenti come Google Maps. In tasca hanno un motore di ricerca più un algoritmo di scoperta sempre acceso; la catena ispirazione-prenotazione vive tutta dentro il telefono. Senza bisogno di ulteriori intermediari.
TikTok, per dire, influenza in modo massiccio la scelta delle mete tra i giovani europei; e la fruizione video breve sta diventando un “metasearch” emozionale. Se i vostri contenuti non esistono lì (o sono tradotti male, o non rispondono a micro-domande pratiche) l’IA generativa vi salta, le mappe non vi propongono, i video non vi trovano. Qui non è questione di mode: è infrastruttura di visibilità.
Non sto dicendo che il B2B non serva. Al contrario: tour operator e agenzie sono (possono essere) canale “wholesale” delle esperienze, portano gruppi, riempiono stagioni scariche di traffico, avvicinano mercati lontani, attraggono segmenti alto-spendenti. Ma se l’architettura commerciale dell’enoturismo rimane solo lì, succede che il pubblico-driver più dinamico - i ventenni e trentenni che “spendono” proprio sulle experience - si costruisce il viaggio da solo e vi saluta dalla corsia accanto. La stessa consulenza travel conferma che le nuove generazioni tagliano altrove (voli, shopping) pur di non rinunciare alle esperienze. Non è una moda, è una priorità di spesao
Quindi, bene Fine Italy per il deal-making; ma alle cantine serve, in parallelo, una macchina D2C (Direct To Consumer) dell’esperienza. Una roba concreta, non i soliti “venite a trovarci!”. Cose così:
Prodotti esperienziali standardizzati (60–90–120 minuti, capienza, price point chiaro, cosa è incluso, cosa no), con disponibilità aggiornata in calendario e checkout immediato. L’IA non capisce i desideri, capisce i dati.
Schede in multilingua con informazioni “AI-friendly”: orari strutturati, FAQ specifiche (bambini? cani? intolleranze? meteo?), foto che mostrano persone e spazi (non solo bicchieri controluce). Le stesse raccomandazioni pratiche evidenziate da Roberta Garibaldi.
Review design: dare seguito, rispondere, incentivare recensioni oneste su Google, TripAdvisor, GetYourGuide, Airbnb Experiences. Le recensioni sono carburante algoritmico, non orpello.
Funnel creator-first: pacchetti “filmabili”, percorsi brevi, momenti “clip” (20–40 secondi) pensati per TikTok/Shorts. Se la GenZ non trova materiale nativo, non vi trova.
CRM leggero + automazioni: conferme, reminder, upsell (dalla tasting base alla verticale, dal tour alla cooking class), follow-up con sconto intelligente sul wine club. È “noioso”, ma è qui che si fa margine nel medio periodo. Anche perché adesso l’investimento in CRM è ridicolmente basso.
E i tour operator? Trattiamoli come partner strategici, non salvatori. Offriamo listini e assegnazione di spazi sulle experience (non solo sul vino) con livelli di servizio (SLA) chiari su check-in, no-show, meteo, sicurezza. Co-creiamo format per mercati specifici (USA, Brasile, Nord Europa) e stagioni morte. Il B2B resta, ma non può essere l’alibi per non costruire il D2C.
Una nota su governance e risorse, perché qui sta il peccato originale. Oggi l’enoturismo è ancora gestito per il 63% direttamente dai titolari; solo il 12% ha creato una business unit dedicata. Poi ci stupiamo se i calendari saltano o i DM restano senza risposta. La tendenza positiva c’è: 77% delle imprese ha investito in enoturismo nel 2022–24 e oltre metà destina già il 6–15% del fatturato. Ma senza una squadra - anche snella - l’accoglienza rimane artigianato geniale e faticoso, non business scalabile.
Fine Italy, insomma, mette ordine nel lato offerta e ci dà una scossa salutare. La prossima scossa tocca a noi: standardizzare l’esperienza, impacchettarla bene, renderla visibile agli algoritmi, venderla direttamente, e poi - non “invece di” - farla distribuire anche ai partner B2B.
Se la GenZ non dovesse mai alzare il telefono per chiamare un’agenzia, non è un problema. È un dato. E con i dati, nel turismo del vino, oggi si lavora sul serio.
Fonti principali: non avendo partecipato per altri impegni, mi sono affidato a report e dati dal salone Fine Italy (28–29 ottobre 2025) e all’intervento di Roberta Garibaldi sull’IA applicata all’enoturismo, Gambero Rosso; ricerche su comportamento di viaggio GenZ (MDPI; National Geographic).