"Non esiste conflitto tra la massima espressione dei vitigni 'internazionali' impiantati in Italia e il nascente 'partito' dei vitigni autoctoni. Esiste piuttosto la necessità di investire nella ricerca e sviluppo di nuove varietà incentrate sulla ibridazione dei vitigni di taglio 'bordolese' (Cabernet, Merlot) con vitigni 'nazionali' per sviluppare nuovi vini di carattere e stile 'italiano'."
Nelle parole del prof. Attilio Scienza, cattedratico di viticoltura all'Università di Milano, rielaborate qui dalle orecchie di Aristide, c'è l'estratto secco dei temi del convegno che ha aperto la due giorni dei "Cento Bordolesi d'Italia: stile, eleganza, territorio" a Villa Gritti di Villanova di San Bonifacio (Verona).
Complimenti agli organizzatori (il giornalista Bruno Donati, curatore della Guida ai Bordolesi d'Italia, e l'enologo Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio Tutela Vini Arcole DOC) che hanno visto riempirsi la sala dell'antico granaio della villa, adattata a sala convegni il sabato mattina (22.10) e riconvertita in pochi minuti a salone di degustazione con ben 140 etichette disponibili il sabato pomeriggio e l'intera domenica (23.10).
E complimenti per l'aver consentito di far emergere il punto di vista di chi commercia in vino (in ordine di comparizione): Gigliola Bozzi Gaviglio (Presidente di Vinarius, Associazione delle Enoteche Italiane), Giuseppe Meregalli (Presidente dell'omonima azienda importatrice di distillati e grandi vini internazionali), Paolo Basso (sommelier e direttore della Arvi SA, società di brokeraggio svizzera specializzata in "vini da investimento").
Perchè il vino è sempre stato business, fin nell'antichità. Meregalli ha spiegato il ruolo dei négociants (commercianti) nell'affermazione internazionale dei vini di Bordeaux (due secoli fa conoscevano il mercato, viaggiavano, erano cosmopoliti e parlavano molte lingue, spesso erano borghesi con ottime relazioni con l'aristocrazia europea) e nella determinazione del sistema di classificazione qualitativa basata sul prezzo: il sistema dei cru, avviato nel 1855!, elevava a premier i vini che i clienti erano disposti a pagare di più, deuxieme i successivi e così via. Conoscenza del mercato, visione, intraprendenza. Pochissima finanza, zero marketing, zero mass-media. Gigliola Bozzi Gaviglio ha spiegato come la forza dei vini di Bordeaux stia nello stile affermato e riconoscibile dal consumatore, stile fondato sull'unicità e valore del terroir, stile rafforzato dalla capacità dei proprietari-produttori di focalizzare tutti gli sforzi e la propria reputazione sul "vino bandiera" del proprio marchio in sinergia con il lavoro sviluppato sul mercato dai négociants (Bozzi Gaviglio non l'ha voluto dire apertamente, si sa è un tabù, ma tutto ciò a casa nostra si chiama marketing...). Un altro aspetto del business del vino, lo ha introdotto Paolo Basso, broker specializzato nell'indirizzare investimenti sui vini pregiati. Ma qui, e solo qui, ci sentiamo assai meno in sintonia: Aristide già non simpatizza con l'idea di rinviare nel tempo l'apertura di una grande bottiglia (Basso ci ha informato che sono appena giunti a maturazione alcuni Bordeaux del 1945!!! Noi crediamo con Keynes che "nel lungo periodo saremo tutti morti"), ma nemmeno giustifica (anche se lo comprende) questo malsano approccio al vino di qualità e tutte le distorsioni che fatalmente introduce.
Molte lezioni per gli operatori del nostro mercato, anche dalla storia: il prof. Attilio Scienza (nomen omen) ha tratteggiato la storia dell'arrivo dei vitigni bordolesi in Italia, ma su questo interessantissimo argomento approfondiremo in un prossimo post.
E poi Giacomo Tachis, guest star dell'evento. Per trent'anni direttore tecnico delle cantine dei Marchesi Antinori, molti gli attribuiscono la paternità del Sassicaia, da trent'anni il più importante vino italiano, come pure del Tignanello e Solaia, vini che hanno cambiato innovandola molta produzione italiana e in particolare quella toscana. Altri, come Francesco Arrigoni in questo interessante articolo su Enotime, la pensano diversamente e raccontano la storia della paternità del Sassicaia in maniera un po' diversa che vale decisamente la pena di leggere qui ("Sassicaia: storia vera e retroscena sulla nascita di un mito"). Comunque sia andata, abbiamo di fronte un enologo protagonista del nostro mondo del vino, che si è addentrato nella questione centrale: quanto può considerarsi ancora "bordolese" un vitigno importato in Italia nell'800 (il primo esperimento di coltivazione estesa risale al 1820, un impianto di Cabernet Sauvignon nei pressi di Alessandria). E' dimostrato come vitigni importati - anche da località vicine - non mantengono nel tempo le stesse caratteristiche organolettiche originarie, perchè la vite si adatta al nuovo territorio, alle nuove condizioni pedoclimatiche, modificando molto lentamente il proprio patrimonio genetico (DNA). Questi cambiamenti vanno nelle direzioni più disparate, producendo mutazioni nel vitigno e nella qualità del vino prodotto più spesso negative che positive. Da ciò deriva la consapevolezza di Tachis nell'affermare che
"... Ancora oggi (e forse in futuro) la rinomanza di un vino è principalmente dovuta a un determinato vitigno. Ma non va omesso il fatto che soltanto in determinate zone, in determinate località, un vitigno manifesta il suo 'vero' nei vini che va a produrre, qualità che ne giustificano la rinomanza. In altre parole, la stessa varietà di un vitigno non produce mai in località differenti vini identici...".
E si ritorna al concetto con il quale abbiamo aperto questo post.
E' già arrivato il momento di procedere con gli indispensabili passi in avanti: innovare con la ricerca di varietà ibride in grado di esprimere il carattere dei terroir italici. Ora che abbiamo costruito una certa eccellenza sui mercati internazionali dove, evidentemente, esiste una domanda alla ricerca di alternative immediate allo stile bordolese made in France, domanda che stiamo soddisfando con i Sassicaia, Ornellaia ma, anche, con i San Leonardo e i SuperTuscans, ora che si affacciano sul mercato i nostri pregiati autoctoni, ora occorre introdurre nuove varietà in grado di esprimere il meglio della scienza agronomica ed enologica italiana, unite alla nostra intraprendenza commerciale e alla enorme disponibilità di terroir così differenti tra loro nel nostro Paese. La lezione di Bordeaux è lì per noi, ancora nelle parole di Tachis:
"...Bordeaux ha davvero insegnato al mondo. Tant'è vero che i nuovi Paesi emergenti nella produzione del vino (Cile, Argentina, California, Australia, Sud Africa...) tengono molto conto dell'insegnamento di Bordeaux non solo nelle fasi tecniche ma nella filosofia produttiva e commerciale in generale. L'Europa è sempre l'Europa, e il nucleo fenologico dell'Europa è proprio la Francia, fino a esprimersi nel taglio bordolese. L'America, l'Australia e i Paesi nuovi producono e produrranno benissimo, ma la cultura, la storia, l'arte, la letteratura che possiede l'Europa e, specialmente quella confinante con l'Italia e con essa comunicante, non ce l'hanno. E il vino si produce e si vende anche e specialmente con questo valore aggiunto".
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Le foto di questo post:
- Villa Gritti di Villanova di San Bonifacio (Verona)
- Giacomo Tachis e, dietro di lui sullo sfondo, Bruno Donati