Aristide, il wine blog di Giampiero Nadali

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L'acqua nei cervelli, altro che nel vino

Esplode l’ennesima campagna di fake news, questa volta dedicata a una complessa vicenda comunitaria, dove le istituzioni UE e l’OIV discutono in questo working paper come regolamentare diversi aspetti dei processi di dealcolazione del vino, dalla sottrazione e aggiunta di acqua fino all’etichettatura dei vini dealcolati.

Quindi, non si tratterebbe di diluire allegramente i vini delle PDO/PGI europee - come stupidamente suggerito dagli inventori di questa fake news - ma di regolamentare un settore, quello dei vini dealcolati, che sta diventando una realtà di mercato e che peraltro interessa a molti industriali del vino. [qui un aggiornamento: "La Commissione Ue non ha proposto l'aggiunta dell'acqua al vino" - La precisazione di una fonte di Bruxelles arriva dopo la notizia circolata su molte testate italiane]

Quando i vostri amati influencer-gnè-gnè del vino ancora bevevano latte in attesa di monetizzare i loro bei faccini su Instagram, l’anziano Aristide pubblicava in questo blog il post qui sotto riprodotto, dove si annunciava l’onda dei vini dealcolati prossima all’arrivo.

La materia è complessa, quindi leggetelo con attenzione, grazie.


Ridurre l'alcol nel vino: è un peccato originale?

[il post originale fu pubblicato qui su Aristide nel lontano Febbraio 2007 e poi ripreso nel 2009]

Fatto n.1: il grado alcolico medio nei vini sta salendo. Il fenomeno è particolarmente rilevante nei vini rossi del Nuovo Mondo e della Vecchia Europa. Motivo? In parte è dovuto ad una serie di annate con temperature mediamente più elevate, in parte alla moderna viticoltura e alla voluta ricerca della massima maturazione dell'uva per ottenere maggiori concentrazioni e aromi (polifenoli). Ciò spinge al più tardi possibile il momento della vendemmia, innalzando così il grado alcolico finale a causa della maggiore presenza di zuccheri nell'uva.

Fatto n.2: le autorità regolamentatrici potrebbero intervenire per limitare il consumo di alcol o limitarne la quantità anche nel vino. Un passo in questo senso è stato compiuto da Elena Salgado, Ministro della Sanità del governo spagnolo. Più che una nuova ondata di provvedimenti proibizionisti, ci sono fondati timori che le stesse autorità possano usare la leva fiscale per intervenire sulla riduzione dell'alcol nel vino, anche su scala europea.

Fatto n.3: l'elevato tenore alcolico di molti vini rossi ne pregiudica soprattutto la bevibilità, allontanando categorie di consumatori sensibili all'alcol.

Fatto n.4: esistono sul mercato tecnologie in grado di ridurre il grado alcolico nei vini, sia in quelli già pronti, sia durante la trasformazione. Pochi giorni fa ne ha parlato il blog Vinopigro, e ne parlò Aristide qui. Trattasi di osmosi inversa (reverse osmosis), colonne a coni rotanti (spinning cone column), distillazione sottovuoto o a bassa temperatura (vacuum distillation).

Fatto n.5: l'ultima arrivata tra queste tecniche è la osmosi inversa. Diffusasi inizialmente tra i produttori del Nuovo Mondo (e poi anche in Europa) come l'ultimo grido tra gli strumenti dell'arsenale del winemaker, è molto osteggiata dai cosiddetti tradizionalisti che la considerano una minaccia per la stessa "anima" del vino. Attualmente, esistono tre impieghi per l'osmosi inversa:

  1. rimuovere l'acqua dai mosti d'uva, concentrandoli;

  2. rimuovere l'alcool o l'acidità volatile da un vino pronto;

  3. rimuovere il 4-etilfenolo, il principale responsabile dell'impatto negativo sul gusto prodotto dai lieviti Brettanomyces: questi lieviti "...sono alla base di sensazioni definite come rancido, orina di topo, farmaceutico, cavallo sudato, per limitarsi ai descrittori più ricorrenti". Insomma, una vera delizia.

Da quali esigenze sono partiti i creatori della tecnologia sottostante i sistemi di osmosi inversa? Da un concetto chiave: la maturità fenolica dell'uva è indipendente dai livelli degli zuccheri. Mentre l'accumulazione degli zuccheri nell'uva dipende dalle condizioni climatiche, il colore dell'uva, la sintesi degli aromi e l'evoluzione dei tannini si realizzano all'incirca nelle stesse modalità, indipendentemente da dove l'uva cresca. Regioni particolarmente calde hanno il problema che la rapida accumulazione di zuccheri può imporre una vendemmia prematura, anche se l'uva non ha raggiunto la maturità fenolica.

Si può ricorrere ad un compromesso: se si vuole raccogliere uva al livello ottimale di maturità fenolica, occorrerà tollerare livelli di alcol più elevati, anche se spesso il troppo alcol è a detrimento della qualità del vino. Nelle regioni con climi più freschi, i produttori, per raggiungere la maturità fenolica, devono correre il rischio di posticipare il momento della vendemmia, esponendosi alle probabili piogge autunnali (con conseguenti rischi di attacchi di muffa grigia alias botrytis cinerea) e alla probabile "diluizione" dei vini.

Secondo i suoi creatori, la tecnologia dell'osmosi inversa è una possibile soluzione per entrambi i problemi. Troppo alcol? Lo si può rimuovere dal vino pronto. Le uve hanno preso la pioggia? Si può concentrare il mosto, rimuovendo l'acqua prima della fermentazione.

Troppo alcol?

Si passa il vino nella macchina dell'osmosi inversa (qui a fianco un modello dell'italiana Ju.Cla.S/Gruppo Vason) che estrae per filtrazione un liquido permeato incolore e insapore, costituito da acqua, alcol e da una forma dissociata di acido acetico. La materia che più conta è trattenuta nella sostanza non filtrata, il "ritenuto".

L'alcol viene distillato e sottratto, mentre l'acqua "vegetale" viene ri-aggiunta per creare un vino a basso contenuto alcolico. Il risultato è un composto che verrà usato come un componente da miscelare con il vino non trattato. Si "ricreano" così varie serie di "vini test" con differenti livelli di alcol, di solito con 0,1% di incremento. Si degustano fino ad individuare i campioni più vicini al bilanciamento ricercato dall'enologo, il cosiddetto sweet-spot.

Queste manipolazioni tecnologiche sembrano orribilmente interventiste, roba da fantascienza, ma stanno rapidamente diffondendosi. Non solo in California (dove si stima che circa la metà delle aziende le utilizzino) o Australia o altri paesi del Nuovo Mondo, ma anche in Europa e in Italia.

In un post del maggio 2006 - "Quanta manipolazione è accettabile nel vino" - riportavo l'opinione di Jamie Goode, tratta dal suo libro Wine Science:

"(...) I diversi metodi di manipolazione del vino sono solo "strumenti"; possono essere usati saggiamente, oppure assai male, oppure per nulla. Il loro impiego è discrezionale, riguardo alla giustificazione del loro utilizzo non è possibile adottare una decisione globale con la "copertura" legale di disciplinari o regolamenti. Vorreste un vino naturale difettoso quando una semplice manipolazione può eliminare il difetto? Questa è una domanda difficile, complessa: per esempio, cosa è un "difetto" nel contesto di un vino naturale?

Ecco perchè sosterrei una politica che lasci liberoil vignaiolo di fare le sue scelte, combinata con la trasparenza e l'onestà nel dichiarare il livello di manipolazione al consumatore, se e quando questa venga usata nel vino."

La chimica del gusto del vino

Come si possono comparare vini risultanti da tali manipolazioni rispetto a vini "standard" in termini di chimica del gusto? Sembra che non esistano studi indipendenti sugli effetti sensoriali di questi trattamenti comparati a vini di controllo. Non esistono studi pubblicati circa comparazioni tra vini "trattati" e vini di controllo di diverse varietà e tipologie. Eppure, i sistemi di filtrazione per ridurre i livelli di alcol non sono nuovi: risalgono alla metà degli anni '80. Ma solo di recente l'attenzione su questi trattamenti si è maggiormente concentrata.

Peccato o non peccato?

Ancora una volta mi trovo sull'orlo del baratro di questioni filosofiche! La questione centrale riguardante questi interventi sulla struttura del vino è se siano appropriati oppure se siano oneste manipolazioni per creare vini di qualità. Insomma, sono un imbroglio?

Lascio la risposta ad alcuni protagonisti.

Clark Smith, titolare di Vinovation, il "padre" dell'osmosi inversa:

"Oggi il centro del dibattito sull'osmosi inversa ed altre innovazioni high-tech nella produzione del vino non è sul fatto se queste funzionino, ma se i winemaker andranno all'Inferno se le impiegheranno."

Randall Grahm, enologo californiano e guru dei bio-dinamici USA nella sua Bonny Doon Vineyard, pensa che l'intervento tecnologico sia una questione di contesto:

"Se un produttore fa un «vin d'appellation», allora c'è una sorta di contratto implicito,  nel quale egli effettivamente promette di produrre un vino con un certo grado di tipicità, il quale suppongo voglia anche includere le caratteristiche dell'annata. Se quel produttore impiega certe tecniche per annientare le caratteristiche dell'annata, anche se forse produrrà un vino che le moltitudini gradiranno, credo che quel produttore agisca in mala fede. Se invece egli produce un vino da tavola o un vino del Nuovo Mondo, credo vadano applicati criteri di giudizio differenti. Il contratto è semplicemente con il consumatore: realizzare il miglior vino possibile, un vino in grado di rendere al consumatore una sorta di piacere vinoso."

Probabilmente, l'idea della riduzione di alcol ha più senso per i vini del Nuovo Mondo che la concentrazione dei mosti nelle regioni classiche europee. Ancora Randall Grahm:

"Ci sono grandi vecchie vigne nel Nuovo Mondo che furono impiantate in aree forse troppo calde perchè le uve raggiungano il livello ottimale di equilibrio gusto/alcol. Forse si fanno vini migliori raccogliendo uve più mature e sottraendo un po' di alcol, piuttosto che vendemmiando in anticipo."

Ma non tutti sono d'accordo. Ernst Loosen, per esempio, produttore tedesco della Mosella:

"Sono pessimi sistemi. Quanto occorrerà perché il vino diventi artificiale?"

Loseen ritiene che il progressivo affermarsi di questi sistemi tecnologici stia facendo perdere al vino i suoi tratti individuali.

Concludendo, credo che la discussione aperta su questi temi sia la cosa migliore da fare. I consumatori devono essere informati su queste tecniche di manipolazione, in modo da potersi fare un'opinione su quanta "manipolazione"  sia accettabile nei vini che si apprestano a comprare.

E qui entrano in gioco anche i comunicatori del vino e, tanto per cambiare, il ruolo che i wine blogger possono svolgere nell'educare il pubblico. Abbiamo a disposizione un mezzo che, grazie alla pluralità delle voci, consente la formazione di opinioni critiche nate dalla contrapposizione dei differenti punti di vista. Mentre la comunicazione tradizionale sembra arroccata sulle posizioni di difesa di una certa idea del vino "ideale", così diversa e distante dalla realtà del vino "reale".

Da quando Aristide ha intrapreso il suo cammino nel mondo del vino, tutti i giorni ha constatato - non senza meraviglia - questa frattura tra la comunicazione del vino e la produzione del vino. C'è come una sorta di disconnessione tra ciò che oggi sembra essere necessario per produrre vino o migliorarne la qualità e ciò che chi scrive di vino sceglie di raccontare al pubblico. Sembra vogliano proteggere il vino da chissà quale disvelamento della cruda realtà. Sembra che il vino sia solo tradizione, arte, poesia, mistero, e non anche scienza, tecnica, innovazioni e persino manipolazioni.

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Fonti utilizzate per questo post:

- Wine Science, di Jamie Goode, PhD in biologia vegetale e giornalista scientifico, oltre che affermato wine writer inglese.