Aristide, il wine blog di Giampiero Nadali

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Fermo e il potere del blend

Fermo, Piazza del Popolo, l’elegante salotto della città

Breve e intensa esperienza di viaggio a Fermo nelle Marche. Grazie a un invito della Libera Associazione Culturale Armonica–Mente (animata da Nunzia Luciani e Carlo Iommi, coadiuvati dal collega Davide Bonassi), in collaborazione con l’Assessorato al Commercio del Comune di Fermo e AIS Associazione Italiana Sommelier Marche - Delegazione di Fermo (Stefano Isidori e Barbara Paglialunga), ho potuto esplorare questa regione vitivinicola, di fatto una prima volta per il sottoscritto.

Fermo, per il vino, è una realtà compressa tra Ancona e Ascoli Piceno: l’incombenza del Verdicchio a nord e del Pecorino e Montepulciano a sud, ha reso difficile nel tempo l’emergere di una precisa identità dei pur buoni vini che si producono in questo fazzoletto di terra incastonato tra la catena appenninica dei Monti Sibillini a ovest e il Mare Adriatico a est. Le vigne qui si adagiano sulle dorsali Est-Ovest delle vallate scavate dai fiumi Chienti, Ete e Tenna, che rendono così visibili sui fianchi di quelle dolci colline le arenarie sedimentarie e gli ampi strati di argille.

Il portale del Duomo di Fermo

E’ una terra ricca di Storia (ma ne esiste alcuna che ne sia priva in Italia?), ancora orgogliosa di ammirare e mostrare al visitatore un passato di ricca influenza economica culturale e religiosa, ma altrettanto imbarazzata oggi dalla ricerca di un’identità, un problema temporaneamente accantonato dal benessere prodotto dall’industria calzaturiera e - dopo il collasso delle scarpe (“nei primi sei mesi 2019: -194 imprese e -985 addetti rispetto a fine 2018, (…) le ore di cassa integrazione a +27,1%, quasi 4 milioni di ore” - fonte: AnconaToday) - questo fatto dell’identità torna prepotentemente prioritario nelle agende degli imprenditori che abbiamo incontrato.

Le campagne trascurate e in parte abbandonate, tornano a essere interessanti, soprattutto per giovani imprenditori del vino o nuove generazioni che avvicendano i familiari in azienda. Cose già viste altrove, ma qui la preoccupazione sembra evidente a causa di un contesto produttivo che è ancora tutto da valorizzare, un’impresa titanica di fronte alla triste diffusione in quelle aree del vino-commodity, cioè il vino-merce a prezzi medi molto bassi e remunerazione delle uve bassissima.

I Monti Sibillini a ovest della regione di Fermo

La superficie produttiva della provincia di Fermo, rivendicata a DOC nel 2018, viene stimata dal Consorzio Vini Piceni in poco meno di 82 ettari (!), ripartiti in:

  • 38,5ha di Rosso Piceno DOC

  • 35,8ha di Falerio DOC

  • 7,4ha di Offida DOCG

  • e pochi metri quadri di Terre di Offida DOC

Tutte queste DOC/DOP, per altro condivise tra Fermo e la provincia di Ascoli (con la quale esiste una competizione campanilistica da sempre), rappresentano varie combinazioni di blend di vitigni diversi (qui i dettagli). Ebbene, nelle sette aziende visitate abbiamo riscontrato una maggioranza di vini IGT/IGP basati su monovitigni. La ricerca dell’identità sembra dunque passare da questa incerta strada, il vitigno come segno di una denominazione.

Ma qui vorrei segnalare ai produttori fermani che il vitigno non è la soluzione, e non lo è quasi mai. E’ il luogo, semmai, insieme all’organizzazione del suo territorio (cru, zone vocate, colline meglio esposte) e le migliori pratiche che possono essere riconducibili a quel luogo.

Prendiamo il Falerio, il luogo e la pratica in questo caso ci sono eccome:

  • la denominazione Falerio DOC è riconosciuta “in tutta la provincia di Ascoli Piceno e in una piccola parte della provincia di Fermo, con esclusione dei vigneti coltivati sopra i 700 metri s.l.m.”.
    Il bello è che il nome Falerio si riferisce all’antico sito archeologico di Falerio Picenus, oggi Falerone, che guarda caso è una località proprio al centro della provincia di Fermo;

  • la pratica principale sta nell’arte del blend: il disciplinare del Falerio prevede “uve provenienti da Trebbiano Toscano in percentuale variabile dal 20% al 50%, Passerina dal 10% al 30%, Pecorino dal 10% al 30%” più la solita quota (massimo 20%) di uve di complemento (non aromatiche). Quanti luoghi esistono in Europa e Italia che hanno legato il luogo a un blend di uve? Quante combinazioni di blend e di pratiche agronomiche ed enologiche possono soddisfare la voglia di differenziarsi tra i produttori?

Dicono che il Falerio sia in decadenza a causa di pratiche commerciali e produttive molto disinvolte. A me pare che siano proprio le stesse pratiche che hanno fatto (nel recente passato) e fanno (nel presente) smarrire identità e motivazione in quel pezzo di Marche, non solo al Falerio ma anche alle altre DOC, a quanto ho potuto riscontrare nelle visite fatte.
E poi, se devono investire, non sarà meglio farlo su un luogo che è già loro dall’antichità? Un luogo, Falerio Picenus, che richiama una DOC del vino e che hanno sotto gli occhi da secoli, così scontata da portarli a guardare altrove. E l’essere anti-ciclici, cioè investire quando tutti scappano, non è forse la pratica economica più intelligente, coraggiosa e remunerativa? Se non ci credete, cari produttori fermani, leggetevi la storia di John D. Rockefeller Jr. e del suo lustrascarpe Adam Wale.

Il vino sfuso rimane un mercato locale importante

Scorci di campagna

Ma se non sarà il mondo del vino Fermano a salvare se stesso, potrebbe essere invece l’opportunità sulla quale puntano - tra le altre - persone come Nunzia Luciani e Carlo Iommi, due vulcani di iniziative culturali e turistiche, i quali in modi diversi stanno “agitando” Fermo con molte buone idee, attività, eventi e tanta passione, fino ad arrivare a concepire la folle idea di convocare un gruppetto di giornalisti scrittori ed esperti del vino per far loro conoscere la zona di Fermo e una sparuta pattuglia di sette cantine che hanno supportato l’operazione (con mezzi minimi) e tra una folla di timidi colleghi (più di trenta). Diceva un saggio che la moderazione è un lusso che si concede solo chi ha molte alternative…

Ebbene, ci vorrà l’aiuto di qualcosa più grande e ampio del solo vino e delle individualità per ora isolate che lo compongono. Fermo oggi ha tutto per attrarre turisti e persino nuovi abitanti: ci hanno riferito che è costante l’arrivo di “stranieri”, popolano i centri più piccoli oppure la stessa Fermo, luoghi dove il ritmo della vita scorre diversamente, dove i lavoratori delle professioni digitali possono benissimo risiedere, lavorare, socializzare, mangiare e bere benissimo, cambiando una volta per tutte il loro stile di vita e recuperare una dimensione più umana.

Fermo si è rivelata una meta straordinariamente ricca di interesse storico, culturale, musicale, teatrale, naturalistico e ambientale, e poi anche eno-gastronomico, con un’offerta di grande cucina sia di ristorazione che familiare, con la cultura dello stoccafisso incrociato con la dieta mediterranea, e poi i vini, certo, alla fine o all’inizio di un vostro prossimo viaggio da quelle parti.

Di sicuro, io tornerò.

Le degustazioni

Il contesto nel quale ci siamo calati nel week-end a Fermo è stato caratterizzato dal Premio San Martino d’Oro, creato per iniziativa di Nunzia Luciani:

«La Libera Associazione Culturale Armonica-Mente ha dato vita cinque anni fa al Premio San Martino d'Oro per favorire e valorizzare l'identità enologica del Fermano. Il Premio ha stimolato la presa di coscienza della qualità raggiunta dai vini fermani non solo presso gli appassionati, ma anche tra gli stessi produttori. L'auspicio è stato fin dall'inizio quello di contribuire a creare spirito di squadra tra tutti gli attori del territorio interessati a sviluppare, partendo dal vino, le molteplici potenzialità del Fermano, che vanno dalle bellezze paesaggistiche a quelle storiche, dalla gastronomia alle eccellenze dell'artigianato.»

Da qui è nata l’idea di portarci a conoscere alcuni dei produttori che hanno partecipato all’edizione 2019 del premio. Ecco chi abbiamo incontrato:

Cantina Di Ruscio di Campofilone, Conti Maria di Fermo, La Pila di Montegiorgio, Rio Maggio di Montegranaro, Vigneti Santa Liberata di Fermo, Vini Firmanum di Montottone, Vittorini di Nico Speranza di Monsampietro Morico.

Molti gli assaggi, e questi sono stati i vini che più mi hanno colpito:

  • Cantina di Ruscio Deviango Marche IGT Bianco 2018 - Sangiovese vinificato in bianco - progetto condiviso con 4 cantine diverse, stesso vino, stessa etichetta e prezzo (€8,50) - hanno riscoperto una tecnica “antica”, un vino che ha suscitato discussioni tra noi, ma è un segnale della necessità di alzare il valore della produzione “bianca” in questa zona, anche se il prezzo scelto non sembra poi così “coraggioso”. Menzione dovuta per lo sforzo, e tanti auguri.

  • Conti Maria Loiano IGT Marche Rosso 2017 - Montepulciano - solo acciaio, frutto molto buono in questa versione “raw”, tannino ruspante ma nel complesso gradevole (si aggrappa bene al frutto), bel vino.

  • La Pila Emmar Marche IGT Malvasia 2013 - Malvasia Bianca di Candia - 14% vol., vendemmia leggermente tardiva, qui usano una tecnica enologica che chiamano “crio-selezione”, congelamento parziale degli acini. Colore riccamente dorato, e poi una gran bella struttura, evoluto benissimo, più fresco persino del 2017, elegante, con un leggero finale amarognolo. A €10 al privato.

  • La Pila Refolo Marche IGT Malvasia 2018 - Malvasia Bianca di Candia - pulita, fresca, naso tropicale, immediata bevibilità, elegante. Secondo me pure ottima per farci un gelato… A €8 al privato.

  • Rio Maggio Vinum62 Bianco Marche IGT 2016 - Trebbiano e Verdicchio - 1500 bott. - lavorazione ancestrale per macerazione e fermentazione con le bucce. Notevole estrazione di un bel colore oro antico. No filtrazioni e no chiarifiche. Limpido, “molto rosso” nello stile, sapido, buona acidità e ossidazione sotto controllo. Molto particolare, ideale per gastronomia salata, me ne sono innamorato. A €15 al privato.

  • Vigneti Santa Liberata Saggiolo Offida Pecorino DOCG 2018 - 14%, vino bio, qui praticano la vendemmia meccanica - macerazione breve a 0 gradi, poi affina in cemento, colore importante e naso vagamente balsamico ed erbaceo, discreta consistenza della struttura, anche qui finale amarognolo da mandorla amara.

  • Vini Firmanum Antio Rosso Piceno Superiore DOP 2014 - 30% Montepulciano e 70% Sangiovese - 13,5% - Affina in botte grande, gran bel frutto e piacevolezza, a €6,50 al privato è il vino con un rapporto qualità/prezzo migliore.

  • Vini Firmanum Solchi Marche Rosso IGP 2012 - Montepulciano 100% - ressa a 70q/ha, leggera vendemmia tardiva, affinamento in grandi botti (4 anni) e barrique (1 anno) - molto elegante ed equilibrato, molto ben gestita la lavorazione del legno e qui va senz’altro apprezzata la capacità di lasciare al tempo il suo lavoro - €18 al privato, un prezzo perfetto per questo prodotto.

  • Vittorini di Nico Speranza Crocefisso Riserva 2017 - Sangiovese (in bianco) e Pecorino appassito 2 mesi, e un tocco di Sauvignon - vendemmia manuale, poi lavorato sui propri lieviti in acciaio e in parte in barrique usate. Molto appagante per la sostanza materica, poi fresco, equilibrato, persistente, molto fine. Delizioso, a €20 al privato.

  • Vittorini Marche Bianco IGT 2017 - Pecorino, Incrocio Bruni (Verdicchio x Sauvignon) e un po’ di Sangiovese in bianco - trascorre 10 mesi sui propri lieviti, poi si produce in una sottile eleganza che chiama forte per essere bevuto. A €18 al privato.

Nico Speranza (nelle foto qui sotto), cresciuto a Verona (culla di grandi assemblatori di vino) e tornato a fare il vignaiolo nelle vigne del nonno a Monsampietro Morico, crede molto nel valore dell’uvaggio e conseguentemente nell’arte del blend. Come lui, credo molto nel potere del blend, il miglior viatico per mettere al centro dell’attenzione il vino di questa bellissima terra di Fermo.


Comunicato stampa

Premiazione San Martino d’Oro Da San Martino a San Biagio

Fermo, domenica 9 febbraio 2020

Presso la stupenda Sala dei Ritratti in Palazzo dei Priori a Fermo, ha avuto luogo la premiazione della quinta edizione del Premio San Martino d’Oro, organizzato dalla Libera Associazione Culturale Armonica-Mente, arricchita quest’anno dalla presenza del primo gruppo di giornalisti enogastronomici invitati a visitare le cantine.

Le menzioni d’onore sono state assegnate alle seguenti cantine:

  • Conti Maria di Fermo per il Tore 2018 Falerio Pecorino DOC

  • Vigneti Santa Liberata di Fermo per il Saggiolo 2018 Offida Pecorino DOCG

  • Vini Firmanum di Montottone per il Solchi 2012 Marche Rosso IGP

  • Rio Maggio di Montegranaro per il Vinum 62 annata 2016 Marche Bianco IGP

  • Cantina Di Ruscio di Campofilone per il Rosso del Poeta 2016 Rosso Piceno DOC

  • Terra Fageto di Pedaso per il Fenèsia 2018 Offida Pecorino DOCG

I premiati del San Martino d’Oro

Alla cantina La Pila di Montegiorgio, prima classificata, è stato assegnato il massimo riconoscimento del Premio San Martino d’Oro all’eccellenza enologica fermana.

Per la prima volta, inoltre, è stato assegnato anche il riconoscimento della critica, Premio San Biagio, andato in questa occasione d’esordio all’azienda Vittorini di Nico Speranza per il suo Crocifisso Edizione 2017 Marche Bianco IGP.

Un plauso va doverosamente a tutte le cantine cha hanno partecipato al concorso, 18 per l’esattezza per un totale di 32 vini presentanti. Il livello qualitativo della produzione vinicola fermana si è confermato più che buono, e molte altre cantine e vini avrebbero meritato riconoscimenti.

Presente alla premiazione Paolo Calcinaro, sindaco di Fermo, che ha sottolineato come questa iniziativa, che deve molto alla tenacia di Nunzia Luciani, presidente della Libera Associazione Culturale Armonica-Mente, vada nella direzione giusta per valorizzare in chiave turistica Fermo e il suo territorio. Per questo il patrocinio e il sostegno dell’Amministrazione ci sono stati fin dalla prima edizione.

Il presidente AIS Associazione Italiana Sommelier Marche Stefano Isidori ha ribadito e sottolineato la vocazione del territorio alla produzione di vini di qualità, e la necessità di fare sistema per portare fuori dall’ambito locale la conoscenza di queste nostre eccellenze.

Davide Bonassi, presidente della giuria del Premio, ha sottolineato la natura inclusiva del progetto, e il fatto che il Premio non vuole essere una competizione ma una opportunità, per accendere ogni anno i riflettori sulle cantine del territorio, e dare loro la possibilità di partecipare con orgoglio alla rappresentazione e valorizzazione dello stesso verso tutti gli appassionati del buon vino.

«Siamo giunti ad un punto di svolta del nostro progetto – conclude Nunzia Luciani, presidente della Libera Associazione Culturale Armonica-Mente – e con piacere abbiamo verificato che dopo cinque anni di impegno ora, attorno al tavolo, ci sono tanti compagni di viaggio con i quali condividere l’obbiettivo di valorizzare il Fermano, partendo dal vino per allargarsi alle tante bellezze paesaggistiche, storiche, gastronomiche e dell’artigianato. »