Recioto pigiato, vin dolce tribolato
Rapido commento su un pomeriggio a suo modo memorabile: una verticale dal 2015 al 1990, articolata in sette annate (delle quali ben 5 sono state servite da bottiglie in formato magnum!), di Recioto di Gambellara DOCG.
Siamo in Contrada Selva di Montebello Vicentino, dove la famiglia Cavazza - dopo quattro generazioni e 90 anni di attività - è arrivata a gestire un centinaio di ettari tra Gambellara e i Colli Berici, per una produzione di circa 500 mila bottiglie.
L'occasione era giustificata dal rituale della pigiatura delle uve di Garganega, lasciate ad appassire sui tradizionali - e rari - picai, i lunghi cordoni fissati al soffitto ai quali le uve vengono appese per 100-150 giorni allo scopo di concentrare zuccheri e aromi, levigati da tempo e muffe nobili.
E con quali risultati! Per circa novanta minuti sono stato accarezzato dalla piacevolezza fatta vino, articolata in sette annate del Capitel, diverse e tutte da ricordare: 2015, 2008, 2006, 2002, 2000, 1998, 1990. Al punto che, al termine della degustazione non era facile rilevare un consenso assoluto sui "migliori" campioni, tanto sottile era il margine di differenze per annullare la soggettività delle impressioni. La Garganega, se lasciata attecchire e svilupparsi su questi suoli vulcanici, nella serena vecchiaia viticola di vigne di oltre 40 anni, si esprime davvero al meglio per freschezza, sapidità, dolcezza elegante e longevità, a dispetto delle annate e degli stili e orpelli enologici, mutevoli per carattere e impresa.
Affiora poi, come un grido di dolore o di rimpianto, l'afflizione dei Cavazza verso lo scarso successo commerciale di questa tipologia di vini. Loro che, come pochi, non ne fanno una questione di "completamento di gamma" ma di ostinato attaccamento a una tradizione che non vogliono seppellire, tra dessert, formaggetti stagionati e marmellate, che come la fine di un pasto sono la fine di tante emozioni e suggestioni. E non basta far chiedere alla platea popolata da intermediari commerciali, in gran parte ristoratori in uscita libera del lunedì: "Ebbene, quanti di voi se la sentirebbe di proporre abbinamenti di questi vini al di fuori del dessert?", perché la risposta, prevedibile e desolante, è stata solo una: "Coi formaggi stagionati".
Solo più tardi, una coraggiosa titolare di osteria a Marostica ha osato segnalare che nel suo locale la clientela, di solito viaggiatori stranieri, usa pasteggiare con vini dolci. Miracolo! Dunque esiste una domanda, l'afflizione dei Cavazza (che faccio mia) avrebbe una soluzione: ri-costruire un'offerta capace di liberare il vino dolce dalla prigionia del dessert. Lo sostengo da tempo e lo rilancio: aprite le degustazioni con un vino dolce, rischiate di stupire con abbinamenti dolce-salato che sono nel DNA del gusto di tanti (la cultura gastronomica europea e moderna è fondata su questi abbinamenti), apriamo il settore ai tanti presunti astemi che non bevono secchezza e tannini. Ovviamente, cari produttori, imitando i Cavazza, trattenete e gestite la dolcezza, garantite le condizioni per avere freschezza e sapidità nei vini.
La crisi dei vini dolci è solo una crisi di offerta, non di domanda. La crisi dei vini dolci è la conferma che a forza di ignorare i consumatori e affidarsi esclusivamente alla pigrizia di tanti intermediari, rischiate di affossare secoli di tradizioni e perdere opportunità preziose per mantenerle in vita.