Ecco la notizia (dal comunicato ufficiale della manifestazione):
"Con la terza edizione di Vulcania, si è ufficializzata l’intesa tra il Consorzio del Soave, il Consorzio dell’Etna, il Consorzio dei Campi Flegrei, il Consorzio del Lessini Durello e il Consorzio del Gambellara, tutte aree viticole accomunate dall’origine vulcanica dei suoli.
Il neo-nato gruppo di lavoro punta a lanciare una strategia condivisa in tema di promozione dei vini bianchi italiani da suolo vulcanico sui mercati esteri.
Questo in sintesi quanto emerso nell’ambito di Vulcania 2011, il forum internazionale dei vini bianchi da suolo vulcanico, coordinato dal Consorzio del Soave in sinergia con Veneto Agricoltura, che ha avuto luogo a Montecchia di Crosara il 16 e il 17 giugno, all’interno dell’azienda Sandro De Bruno".
I consorzi citati lavorano quindi per un'aggregazione nella promozione dei vini bianchi da suoli vulcanici. E' una buona mossa? O si tratta solamente di un modo creativo per stilare l'ennesimo progetto per attingere a fondi comunitari per la promozione all'estero? Aristide propende per la prima ipotesi.
Per noi consumatori il vino bianco da suoli vulcanici ha certamente senso: quasi sempre ci viene consentito di approcciare terroir molto particolari che donano caratteristiche distintive ai vini. La potente immagine evocativa dell'attivissimo Etna o del dormiente Vesuvio, sembrano essere un buon veicolo per attrarre l'attenzione dei più distratti. Persino le addormentatissime (da soli 50 milioni di anni) colline dei Monti Lessini o dell'entroterra di Soave e Gambellara offrono panorami incantevoli e luoghi fertilissimi e particolarissimi per la vite, con uve autoctone fortemente marcate come la Durella, o come la Garganega che su basalti e tufi esprime diversità apprezzabili.
Ben venga, quindi, questa iniziativa di aggregazione: ci guadagnano tutti, e nel medio termine sembra promettere successo.