Vade retro fungo: parliamo di PIWI, o viti "interspecifiche"
Ecco un appuntamento in linea coi tempi: un convegno sulle varietà interspecifiche ("Incroci di Vite tolleranti a oidio e peronospora: realtà e prospettive", Lazise, 27 maggio, ore 9.30 -qui il programma).
La pioggia di questi giorni costringe i viticoltori a trattamenti intensi nei vigneti. Chi va con prodotti di sintesi, chi si limita alle applicazioni di rame, in ogni caso tutti pensano a prevenire i guai che provocherebbero i parassiti fungini, in particolare l'oidio e la peronospora.
Il massiccio impiego di questi trattamenti comporta costi economici e costi ambientali (per non dire della salute degli operatori) facilmente immaginabili, ma giustificati in gran parte dalla necessità di salvare la produzione da una delle minacce peggiori, il fungo.
Una soluzione? Aiutare le piante a sviluppare una resistenza a queste malattie.
Non tutte le varietà sono in grado di difendersi: in particolare, quelle utilizzate in Europa per la produzione di vini DOC/DOP - cioè la Vitis vinifera - non sono dotate geneticamente di questa capacità, mentre in molte specie di vite americana e asiatica - Vitis amurensis, V. labrusca, V. riparia, V. rupestris – la resistenza è geneticamente presente. Dalla metà del XIX secolo si sono tentati numerosi incroci, con il risultato che la resistenza del vitigno è stata raggiunta, ma non sempre con uve dalla qualità ottimale per la produzione di vino.
I paesi più impegnati nella ricerca sulle varietà interspecifiche sono quelli con la viticoltura più colpita dalle precipitazioni piovose, ovvero Germania, Austria e Svizzera. A loro dobbiamo la ricerca sullo sviluppo delle varietà "PIWI", così come vengono chiamate colà, che altro non è che un acronimo in lingua tedesca che sta per pilzwiderstandfähig (resistente ai funghi).
Per finire, vi segnalo un interessante articolo di Maria Luisa Doldi: " PIWI, naturalmente resistenti", pubblicato su VQ del maggio 2009.