"Gazzetta Gaja", questo è il nome in codice informale che ho affibbiato alle periodiche esternazioni di Angelo Gaja (nella foto, a sinistra). La sua cortese addetta stampa fa periodicamente pervenire un'email con allegato uno scritto che raccoglie le riflessioni dell'arci-noto produttore piemontese di Langhe DOC, Barbaresco, ma ancheBolgheri e Brunello di Montalcino.
L'ultima produzione - "Spiragli di luce" - raccoglie interessanti osservazioni sulla situazione di mercato per il vino italiano in generale. Non voglio qui commentare quanto scrive Angelo Gaja, il testo è disponibile al fondo di questo post.
Mi interessa invece soffermarmi sulla reticenza all'impiego di strumenti di comunicazione più adatti ai tempi e a quegli scenari di mercato che tanto interessano ad Angelo Gaja (come tutti noi, del resto).
Lo spunto mi viene da Richard Geoffroy - chef de cave, enologo, di Dom Pérignon e della controllante Moët & Chandon (nella foto, a destra) - e dal nuovo blog aperto in queste ultime settimane: Making Dom Perignon.
Richard Geoffroy è una delle massime personalità del vino su scala internazionale, "maestro della produzione vinicola e genio universale della degustazione" come lo definisce Fabio Rizzari in questo post su L'Espresso|Vino. Insomma, una persona assai impegnata e con qualche buon motivo, diciamo, per essere soddisfatto di sé.
Ebbene, Richard Geoffroy, evidentemente assistito da qualche collaboratore, trova il tempo e soprattutto l'interesse per aprirsi al dialogo col pubblico della rete. I primi post pubblicati su "Making Dom Pérignon" promettono bene, ci aspettiamo riflessioni interessanti sui viaggi di lavoro, sulle persone incontrate, sui prodotti e la storia del marchio, sulle esperienze e ricordi di un eccelso protagonista del vino.
Non credo debba aggiungere altro sulla questione: il confronto tra la "Gazzetta Gaja" e "Making Dom Pérignon" stride già molto di suo. E l'esempio che arriva dalla Champagne rimuove ogni scusa, ogni giustificazione: finalmente, non tutti i grandi del vino snobbano la rete.
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Ecco il testo dell'ultimo intervento di Angelo Gaja:
SPIRAGLI DI LUCE
Mentre il 2009 e’ stato l’anno nero per l’export del Made in Italy, meno 20% (fonte ISTAT), per il vino italiano ha invece raggiunto il massimo di sempre con una crescita in volume che non si discosta molto dal 10% pur con una perdita in valore del 6%. Un successo? Assolutamente sì, anche se non si esulta perchè raggiunto con duri sacrifici compiuti dalle cantine che hanno abbassato i prezzi di vendita a costo di azzerare i profitti e dai produttori che, non volendo abbassare i prezzi delle bottiglie, hanno invece accettato di vendere sfuso agli imbottigliatori il vino eccedente a prezzi di liquidazione. Per non dire dei prezzi delle uve della vendemmia 2009 che avevano patito forti ribassi.
Il sistema del vino italiano però ha tenuto bene mettendo in luce i suoi valori di comparto sano, articolato e legato da forte complementarietà. Non ha licenziato, non ha fatto ricorso alla cassa integrazione, non si è lasciato distrarre dalle usuali diatribe degli antagonismi di casa nostra: varietà autoctone/internazionali, territorio/non si sa dove, barriques nuove/botti vecchie, gusto omologato/tipico. Il 2009 non e’ stato di certo una passeggiata, gli imprenditori del vino italiano hanno lavorato duro raddoppiando il loro impegno, stringendo la cinghia, ottenendo cosi’ un risultato che nessuno dei nostri concorrenti europei e’ riuscito ad avvicinare, Francia per prima.
Le prospettive dell’export del vino italiano per il 2010 sono rosee. L’indebolimento dell’euro dà fiato alle esportazioni nei paesi extra-europei. L’obiettivo di esportare nell’anno corrente almeno 2,5 milioni di ettolitri in più del 2009 è alla portata dell’Italia. Le scorte di vino sono destinate a calare anche perchè la produzione delle annate 2008 e 2009 era stata scarsa. Il sostegno previsto dalla Comunità Europea, inteso ad indennizzare la pratica del diradamento (abbattimento dell’uva in eccedenza prima dell’invaiatura, al fine di ridurre/contenere il raccolto), se saggiamente guidato dalle cantine cooperative del Sud e del Centro e fatto eseguire correttamente dai soci viticoltori, contribuirebbe a mantenere bassa la produzione nazionale consentendo di recuperare equilibrio tra offerta e domanda. Si arriverebbe così alla vendemmia 2010 con la prospettiva di una remunerazione ai conferenti/venditori di uva che pareggi almeno il costo di produzione. L’export, che fa un gran bene all’economia del paese, deve diventare una ossessione per i produttori di vino che intendono mantenere sane e competitive le proprie aziende.Angelo Gaja, 16 febbraio 2010