Sintesi: “la qualità di un vino è sotto i nostri piedi”. Punto.
Questo è ciò che serve per conoscere i vini che beviamo.
Ipse dixit Attilio Scienza, grande sacerdote della viticoltura italiana (e non solo).
In una mattinata estiva, troppo densa di interventi, incanalati e vanamente contenuti nei tempi previsti dal bravissimo Antonio Paolini, si è discusso a Soave del più importante degli argomenti relativi al vino: il suolo, o il "substrato della vigna".
Ho sempre pensato che, per la qualità del vino, la geologia fosse più importante dell'enologia: all'uscita dal convegno "Vulcania 2009", il forum internazionale del vini bianchi da suolo vulcanico, curato dal Consorzio di Soave, questa convinzione si è più che mai rafforzata.
Bravi gli amici del Consorzio di Soave ad avviare un tema che promette di riproporsi nel prossimo futuro. Bravi un po' tutti gli intervenuti, sacrificati dalla elevata densità degli argomenti e dalla mancanza di sintesi di alcuni, oltre al sempre troppo poco tempo per discuterne.
Mi rieccheggiano nella mente le parole di un amico: "il vino è la spremuta della terra". Sarebbe importante, quindi, saper mantenere nei vini le caratteristiche del suolo di origine. Sarebbe bello. Ma questo, lo sapete già molto bene cari lettori, è il centro di tutte le discussioni, la madre di tutte le battaglie intorno al vino.
Anche a Soave, dove mi auguro che procedano spediti nel rendere la zonazione un fattore del marketing di questa denominazione. Con l'arrivo della OCM Vino, la nuova organizzazione del mercato comunitario, i contorni qualitativi delle nostre denominazioni sbiadiranno. Urge classificare i terroir, differenziare le colline dalle pianure, vogliamo poter individuare i grand cru e premier cru, vogliamo restituire ai suoli il loro primato.