Non basta un poker di Amarone per vincere la partita dello stile
Si avvicina il Natale e Aristide monta la tradizionale testata natalizia, che ci terrà compagnia per tutto il periodo festivo. L'inevitabile buona predisposizione di questo periodo ha trattenuto le dita dalla tastiera, facendomi riflettere sull'opportunità di scrivere di un evento di qualche sera fa...
La delegazione veronese dell'Associazione Italiana Sommelier ha organizzato alla Locanda "Le Salette" di Fumane (VR) una serata dedicata a quattro produttori assai noti di Amarone della Valpolicella: Franco Allegrini, Tommaso Bussola, Giampaolo Speri e Claudio Viviani (qui a lato, nella foto di Maria Grazia Melegari).
Titolo della serata: "Amarone: uno stile nel tempo". Affermazione perentoria e assertiva, a mio parere. Gli otto campioni delle quattro aziende compresi nelle annate tra il 2003 e il 1990, sottoposti alla valutazione di un pubblico di appassionati e professionisti, hanno faticato a trasmettere l'idea di uno stile coerente. Se questa era l'intenzione degli organizzatori, la missione non è riuscita. E non certo per colpa loro. Questi quattordici anni sono stati gli anni che hanno sottoposto la Valpolicella Classica (la regione "tradizionale" della DOC) a trasformazioni profonde sotto tutti i punti di vista: viticoltura, enologia, marketing, amministrazione della denominazione.
Non starò qui a fare la storia della denominazione durante questo periodo, del resto a molti di voi nota. In fondo al post troverete utili approfondimenti nei post pubblicati nell'anno in corso da giornalisti/wine blogger come Roberto Giuliani, Elisabetta Tosi, Franco Ziliani.
Mi limito a osservare che sempre più la Valpolicella appare divisa in due grandi zone produttive dai terroir (e paesaggi) assai diversi: la Valpolicella DOC Classica e la Valpolicella DOC, comunemente indicata come "Allargata" [vedi immagine a lato, dove ho modificato una mappa della regione tratta dal sito di Allegrini].
L'antropizzazione elevata della zona "Classica" e lo sfruttamento delle zone pianeggianti (tra capannoni e strade) ha divaricato ulteriormente la qualità delle uve che si producono tra collina e pianura. E anche in collina l'alta qualità non è garantita: abbiamo assistito di recente a nuovi impianti realizzati con sbancamenti che hanno rimosso i tradizionali terrazzamenti - riconoscibili dai muri a secco, qui chiamati "marogne" - con massicci riporti di terra dalla pianura. Del terroir originario rimane solo il ricordo.
Fino al 1996 l'Amarone era la solitaria visione di pochissimi produttori (di Bertani vi ho parlato di recente qui). Grazie a un'articolo di Gino Veronelli esplode il fenomeno Amarone. Fino alle 12 milioni di bottiglie prodotte oggi.
In questo contesto, parlare di stile immutato nel tempo è un azzardo. Anche se raduni intorno al tavolo quattro aziende che sono (che sembrano?) un poker d'assi. Quattro aziende che si sentono talmente "arrivate" da distanziarsi dal "ruolo perverso" esercitato in questi anni dalle guide dei vini, rifiutare l'effetto dell'omologazione del gusto globale, stupirsi di quanto Amarone si produca oggi, e altre amenità simili. Che mancanza di riconoscenza, direte voi. Così va il mondo, bellezze mie.
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Altri contributi:
- "Anteprima 2004: ma l'Amarone è ancora Valpolicella?"
di Roberto Giuliani; - "Dell'Amarone (autentico) e altre storie valpolicellesi"
di Elisabetta Tosi - intervista a Luca Sartori, presidente del Consorzio Tutela Valpolicella; - "Amarone della Valpolicella, una via alla normalità esiste!"
di Franco Ziliani; - Un report fotografico della serata è stato pubblicato da Maria Grazia Melegari sul proprio blog Soavemente...
La foto di apertura è tratta da questo report (grazie MGM!).