Aristide ha già presentato (in questo post) la bozza di proposta di riforma dell'Organizzazione Comune del Mercato Vitivinicolo, nota come "OCM Vino". Sull'importante proposta di riforma del mercato del vino comunitario si è aperto un dibattito che condurrà tale proposta ad essere approvata, probabilmente, non prima della fine del 2007, per entrare così in vigore nel 2008. Tale dibattito è, a mio avviso, fortemente caratterizzato dalle prese di posizione istituzionali e corporative dei vari attori della filiera del vino. Manca la voce dei consumatori. Insomma, gli interessi dei consumatori da chi sono stati "interpretati" in questa proposta di riforma? Dalla Commissione Europea? Dai politici che ci rappresentano in Europa?
Per darvi qualche risposta in merito, ho deciso di ospitare un importante contributo di Mike Tommasi, esponente di Slow Food France, ma soprattutto cittadino consumatore indipendente e libero pensatore sulle questioni del vino (maggiori dettagli su Mike Tommasi al termine del post - le parti del testo riportate in colore rosso sono iniziativa di Aristide).
Buona lettura.
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L’Europa lancia la riforma del settore vitivinicolo con la proposta di un nuovo Regolamento del Consiglio sul vino
di Mike Tommasi
La settimana scorsa l’Unione Europea ha pubblicato il testo completo della “Proposal for a COUNCIL REGULATION on the common organisation of the market in wine and amending certain Regulations” [la versione italiana non è ancora disponibile, quindi le frasi riprodotte sono almeno per ora tradotte dal francese], dopo l’annuncio pochi giorni prima sul sito web della sezione Agricoltura e Sviluppo Rurale della Commissione Europea.
La nuova Organizzazione Comune del Mercato (OCM) vitivinicolo porterà all’abrogazione della OCM attuale tale come definita dal Regolamento (EC) No 1493/1999 del consiglio del 17 maggio 1999.
Gli obiettivi principali sono:
- rafforzare la competitività
- confermare la reputazione dei vini dell’UE
- riconquistare mercati vecchi e guadagnarne di nuovi
- stabilire regole chiare e semplici
- preservare le migliori tradizioni della produzione vitivinicola europea
- rafforzare il tessuto sociale in varie zone rurale
- garantire che l’insieme della produzione rispetti l’ambiente
Cosa sono Regolamento, Consiglio e Commissione?
Prima di cominciare, vediamo di capire tre concetti Europei che potrebbero essere utili nella lettura del regolamento proposto e nel comprenderne gli effetti.
Il Consiglio dell’Unione Europea è uno dei due rami legislativi dell’EU (l’altro è il Parlamento), e si compone dei ministri degli stati membri (attualmente 27); la Presidenza viene assunta ogni 6 mesi da uno degli stati membri (attualmente il Portogallo). In realtà ci sono vari Consigli, uno per ogni soggetto ministeriale, quindi nel nostro caso si parla del Consiglio dei Ministri dell’agricoltura. Il Consiglio dei capi di stato invece si chiama, tanto per creare confusione, Consiglio Europeo. Attenzione pure a non confondere il Consiglio dell’Unione Europea con il Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale di 47 stati Europei (su 49) che tratta soprattutto questioni di diritti umani, attualmente sotto la presidenza della Russia.
La Commissione Europea è il ramo esecutivo dell’UE, il quale propone le leggi, compreso questo Regolamento, e si compone di un commissario per ogni stato membro (attualmente 27); dal 2004 ne è presidente José Manuel Barroso.
Un Regolamento è un atto legislativo dell’Unione Europea il quale diventa immediatamente applicabile come legge simultaneamente in tutti i paesi membri; in tal modo, diventa preponderante su tutte le leggi nazionali. Da non confondere con le Direttive, che richiedono misure applicative (leggi, decreti) negli stati membri. Il Regolamento è dunque l’atto istituzionale più potente dell’Unione Europea. I Regolamenti essenziali, come la OCM del vino che stiamo discutendo, vengono formulati dalla Commissione e adottati dal Consiglio, in questo caso si chiamano Regolamento del Consiglio.
Sovrapproduzione e mercato libero
Uno dei punti chiave della nuova OCM sarà l’introduzione di regolamenti semplificati con meno vincoli per i produttori più competitivi, e con l’abrogazione del vecchio sistema dei diritti di impianto, di modo che dal 1° gennaio 2014 ci sarà la libertà totale di piantare vigne, e ogni produttore sarà responsabile della decisione di piantare, secondo le sue capacità di vendere la produzione.
La nuova OCM affronta pure i problemi della sovrapproduzione di vini di qualità scarsa, proponendo “altre strade per i produttori meno competitivi”. I produttori potranno ricevere un premio per l’estirpazione, con un obiettivo di 200.000 ettari in 5 anni; i premi saranno di €7.174/ha durante il primo anno (2009) scendendo fino a €2.938/ha per il quinto e ultimo anno (2013), incoraggiando i produttori ad agire rapidamente. Questa misura ha destato le critiche di molti produttori, ma per la maggior parte si tratta di persone che non hanno capito che l’estirpazione è volontaria, e non c’è nessun obbligo di estirpare.
Le misure di gestione del mercato attualmente in vigore sotto la PAC saranno soppresse appena questo nuovo Regolamento sarà approvato verso la fine del 2008, queste includono:
“la distillazione di crisi, l'aiuto per la distillazione dei sottoprodotti, la distillazione in alcole per usi commestibili e dei vini ottenuti da varietà a doppia classificazione, l'aiuto al magazzinaggio privato, le restituzioni all'esportazione, l'aiuto per il mosto destinato all'arricchimento del vino”.
Le economie realizzate in questo modo permetteranno di creare budget per misure nuove come “la promozione nei paesi terzi, la ristrutturazione e riconversione dei vigneti, l'aiuto per la vendemmia verde, nuove misure di gestione delle crisi”. Il termine “vendemmia verde” mi aveva colpito, normalmente si riferisce a una tecnica che consiste nell’eliminare parte dei grappoli durante la stagione produttiva per ridurre le rese e quindi migliorare la qualità delle uve vendemmiate, ma in questo Regolamento si tratta di una definizione ben più radicale (vedere Articolo 11), cioè “la distruzione totale o la soppressione dei grappoli ancora immaturi in modo tale da ridurre a zero la resa della parcella coinvolta”, in altre parole, si ricevono soldi per distruggere il raccolto!
Se le altre misure sembrano lodevoli, questa sembra invece altrettanto inefficace che le misure attuali che stanno per essere abrogate.
Inoltre, vengono introdotte misure sullo sviluppo rurale, allo scopo di aiutare “l'insediamento dei giovani agricoltori, il miglioramento della commercializzazione, la formazione professionale, il sostegno alle organizzazioni di produttori, il sostegno a copertura dei costi supplementari e delle perdite di reddito per la manutenzione dei paesaggi naturali, il prepensionamento”.
Una ridefinizione legale del vino
Il Regolamento proposto da una nuova definizione legale del vino, e delle procedure e sostanze autorizzate per fare vino. L’introduzione di una nuova OCM sarebbe stata un’occasione eccellente per ridefinire il vino e per limitare le pratiche enologiche e i trattamenti autorizzati, riducendo o eliminando i trattamenti pesanti usati per “correggere” vini difettosi, con il mantenimento delle pratiche che portano al vino un vero miglioramento o una migliore conservazione.
L’Allegato IV del Regolamento proposto inizia con una eccellente definizione del vino: “Si intende per vino il prodotto ottenuto esclusivamente per fermentazione alcolica, totale o parziale, di uve fresche”.
Ma, partendo da questa buona base, si autorizzano poi ogni sorta di trattamenti, con in aggiunta delle scappatoie non molto chiare. E quindi il preambolo del Regolamento menziona:
“Una migliore adattabilità delle pratiche enologiche grazie:
- al trasferimento alla Commissione del compito, fino ad ora devoluto al Consiglio, di approvare le nuove pratiche enologiche o di modificare quelle esistenti, e in particolare di prendere in carica le pratiche già acquisite, salvo tutto ciò che concerne l’arricchimento e l’acidificazione,
- alla valutazione da parte della Commissione delle pratiche enologiche adottate dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV), e alla loro incorporazione ulteriore in un Regolamento della Commissione
- all’autorizzazione di utilizzare nell’Unione Europea pratiche enologiche già approvate a livello internazionale per l’elaborazione di vini da esportazione verso le destinazioni coinvolte,
- alla soppressione dell’esigenza relativa al titolo alcolico naturale minimo dei vini“.
Il primo di questi principi è formalmente espresso nel paragrafo 19 delle considerazioni iniziali del Regolamento: “Per ragioni di flessibilità d’azione, conviene che la Commissione assuma la carica dell’aggiornamento delle suddette pratiche e dell’approvazione di nuove pratiche, salvo le questioni politicamente sensibili dell’arricchimento e dell’acidificazione, per le quali conviene che il Consiglio conservi la competenza in materia di modifiche”.
Peccato che l’Articolo 23 non menzioni esplicitamente a quale organismo le competenze andranno conferite, in un caso il Consiglio dell’Unione Europea, nell’altro la Commissione Europea: “Salvo nel caso di pratiche enologiche legate all’arricchimento, all’acidificazione e alla de-acidificazione enumerate nell’Allegato V e delle restrizioni enumerate nell’Allegato VI, l’autorizzazione di pratiche enologiche e restrizioni in rapporto all’elaborazione e alla conservazione di prodotti rilevanti dal presente Regolamento viene decisa secondo la procedura...”.
Come si spiega che le pratiche che sono sotto la responsabilità del Consiglio siano politicamente sensibili, mentre le altre no? Vero, i numerosi prodotti e trattamenti autorizzati dall’OIV sono forse più sensibili dal punto di vista della sanità che della politica. Ma se l’obiettivo è di “rafforzare la reputazione dei vini dell’UE”, sarebbe paradossale che l’organo sovrano, il Consiglio, sia incaricato di ratificare pratiche che permettono di correggere vini difettosi o squilibrati, poiché il vino di qualità fatto con uve mature e sane non ha bisogno di acidificazione o arricchimento, e il vino scadente non si migliora con tali tecniche.
Secondo il paragrafo 20 delle considerazioni iniziali del Regolamento, “conviene che l’aumento del titolo alcolico dei vini venga sottomesso a certi limiti e si effettui, là dove viene praticato, con l’aggiunta al vino di mosto di uve concentrato e rettificato. Conviene pure vietare l’aggiunta al vino di saccarosio”. Le uve di qualità non hanno mai bisogno di arricchimento, questo arricchimento non fa altro che aumentare il titolo alcolico, e al giorno d’oggi un grado alcolico elevato non è né una caratteristica desiderabile, né una misura della qualità di un vino. L’abolizione dello zuccheraggio potrebbe sembrare un passo nella buona direzione, ma l’annuncio di questo divieto è seguito da un invito ad arricchire il vino invece con mosto concentrato rettificato (MCR) o per osmosi inversa (vedere Allegato V).
Non è chiaro se il MCR o l’osmosi inversa siano alternative di qualità allo zucchero. Il MCR viene prodotto col trattamento di mosti inutilizzabili per fare vino di qualità, utilizzando resine a scambio ionico – prodotti chimici a base di polistirene aventi un impatto ambientale, che quindi richiedono ulteriori trattamenti. L’Italia, che è il più grande produttore di MCR, riceve forti sovvenzioni dell’UE per produrlo, ma queste sovvenzioni saranno abolite dal nuovo regolamento (ecco perché la cosa è politicamente sensibile!). Alcuni commentano che il MCR è una soluzione migliore dello zucchero perché contiene zuccheri delle uve e non saccarosio, ma in realtà il MCR contiene impurità che possono alterare il gusto del vino. In ogni caso la fermentazione trasforma i due tipi di zuccheri in alcool etilico.
Ogni forma di arricchimento è un imbroglio che permette ai produttori di ottenere i massimi rendimenti possibili, contribuendo così a quelle stesse eccedenze di vino che l’UE sta tentando di eliminare. Quindi l’arricchimento, con zucchero o MCR, è allo stesso tempo
- una frode commerciale, nel senso che da ai produttori che lo impiegano un vantaggio sleale rispetto a chi fa vino puro,
- una frode verso il consumatore che compra vino arricchito senza saperlo (non vi è alcuna menzione di ingredienti sull’etichetta).
L’osmosi inversa è una forma di imbroglio ancor più attraente, perché il suo impiego rimane impossibile da rilevare. Sottoponendo mosti ad altissime pressioni, essa sottrae le molecole d’acqua attraverso una membrana speciale; si concentra quindi lo zucchero, ma anche l’acidità (eppure legalmente è vietato aumentare allo stesso tempo la concentrazione di zuccheri e di acidi, o si autorizza una pratica o l’altra!). Poiché i vini che richiedono tali “correzioni” possono spesso presentare vari difetti (diluizione, mancanza di equilibrio, aromi sgradevoli, gusto amaro), tutti questi difetti verranno pure concentrati dall’osmosi inversa.
Nel Regolamento attuale varie dozzine di sostanze e procedure sono autorizzate (vedere Allegato IV e V del Regolamento 1493/1999, che sarà abrogato nel 2008).
In questa proposta di Regolamento le pratiche enologiche sono definite in maniera vaga, non c’è nessuna lista delle pratiche autorizzate, solo indistinte menzioni di decisioni che saranno prese sulla base delle regole dell’OIV [vedi Codice Internazionale delle Pratiche Enologiche e Codex Enologico Internazionale, disponibile online solo in francese, altrimenti ordinare versione stampata in italiano dal catalogo OIV], una lista lunghissima simile al Regolamento attuale che permette l’uso di molte sostanze e pratiche. L’Articolo 21 del Regolamento proposto menziona che “solo le pratiche enologiche autorizzate dalla legislazione comunitaria” sono autorizzate. Il preambolo di questa proposta di Regolamento fa riferimento “alla valutazione da parte della Commissione delle pratiche adottate dal ... (OIV), e alla loro incorporazione ulteriore in un Regolamento della Commissione”, ma nessun articolo menziona la necessità di formulare questo nuovo Regolamento sulle pratiche enologiche prima dell’adozione di questa proposta di Regolamento (altrimenti questo Regolamento sarà incompleto).
L’Articolo 24 sui criteri di autorizzazione dichiara che
“Quando autorizza pratiche enologiche in conformità con le procedure..., la Commissione:
a) si basa sulle pratiche enologiche riconosciute dall’OIV così come sui risultati dell’uso sperimentale di pratiche enologiche non ancora autorizzate;
b) tiene conto la questione della protezione della sanità pubblica;
c) tiene conto degli eventuali rischi che il consumatore possa essere ingannato...;
d) bada a garantire che vengano salvaguardate le caratteristiche naturali e essenziali del vino e che la composizione del prodotto non subisca alcuna modifica importante;
e) bada a garantire un livello minimo accettabile di protezione dell’ambiente;
f) osserva le regole generali in materia di pratiche enologiche e restrizioni stabilite rispettivamente negli Allegati III e IV.”
Noto che i numeri degli Allegati sono errati (leggere V e VI invece di III e IV). Il Regolamento proposto non adotta quindi le regole dell’OIV, e si limita dunque a basare le sue decisioni sulle regole OIV, ma prevedendo l’autorizzazione di altre pratiche. Si potrebbe anche immaginare che la Commissione decida su regole più severe, ma effettivamente la Commissione può fare come le pare (leggere qui sotto sulle pratiche eccezionali autorizzate per i vini da esportazione). Attiro l’attenzione sul “livello minimo accettabile di protezione dell’ambiente” – non sarebbe stato meglio parlare di “livello soddisfacente di protezione dell’ambiente”?
Le sole restrizioni sulla produzione di vino definite dal Regolamento proposto sono dunque:
- la definizione legale del vino in Allegato IV,
- le regole sull’arricchimento,
- l’acidificazione e la de-acidificazione in Allegato V,
- e le restrizioni in Allegato VI sull’aggiunta di acqua o di alcool.
Noto pure che i livelli minimi di alcool definiti in Allegato IV sembrano contraddire il preambolo che menziona “la soppressione dell’esigenza relativa al titolo alcolico naturale minimo dei vini”.
Un altro soggetto inquietante: sembra che ci sia una scappatoia in questo Regolamento che permette di scavalcare le regole comunitarie per la produzione di vino destinato all’esportazione (si presume extra-comunitaria). Il Regolamento proposto sembra lasciare gli accordi internazionali prevalere sulle norme dell’UE, permettendo ai produttori di utilizzare pratiche normalmente vietate nell’UE ma applicabili per esportare verso paesi che autorizzano queste pratiche. Questo viene confermato dal paragrafo 22 delle considerazioni iniziali del Regolamento:
“a scopo di conformità con le norme internazionali in vigore nel settore, conviene che la Commissione si appoggi in maniera generale sulle pratiche enologiche approvate dall’(OIV). Affinché i produttori comunitari non siano ostacolati sui mercati internazionali, conviene che le suddette norme si applichino anche ai vini comunitari destinati all’esportazione, indipendentemente da regole più restrittive suscettibili di essere applicate nella Comunità”.
L’articolo 21 conferma: “nel caso di prodotti che rientrano nel campo del presente regolamento che sono elaborati per esportazione, le pratiche enologiche e le restrizioni applicabili sono quelle riconosciute (dall’OIV) e non le pratiche enologiche e le restrizioni autorizzate dalla Comunità”. Questo sembra stabilire due misure, permettendo di derogare alle preoccupazioni e alle esigenze sanitarie dei consumatori Europei allo scopo di aiutare i produttori Europei nel commercio estero. In un mondo globalizzato, come garantire che questi prodotti non verranno reintrodotti nei mercati dell’UE? Soprattutto, in che modo l’esportazione di vini potenzialmente non-conformi contribuisce a obiettivi come “confermare la reputazione dei vini dell’UE, ... stabilire regole chiare e semplici”?
La classificazione e l’etichettatura dei vini dell’Unione Europea
Gran parte dei consumatori, nei paesi che per tradizione consumano vino ma anche nei mercati emergenti, trovano le etichette dei vini europei poco chiare. Ogni nazione ha un sistema diverso e molto complicato per classificare i suoi vini, e malgrado le informazioni in etichetta non c’è nessuna garanzia sulla qualità del vino. Succede spesso che un consumatore compri, per esempio, un vino Appellation d’Origine Contrôlée, per poi scoprire che il vino non è buono, o che è meno buono di un altro vino marcato con una classificazione “inferiore” (o peggio, un vino del nuovo mondo!). Un cambiamento radicale sarebbe necessario per rendere i vini dell’UE più accessibili, allo stesso tempo salvaguardando l’identificazione di origine dei migliori terroirs.
Per cominciare, si potrebbe limitare il numero di denominazioni di qualità; per esempio, la Germania conta 2.600 Einzellage (villaggi classificati), ma di questi solo alcune centinaia sono riconoscibili come villaggi di qualità e meritano la menzione in etichetta. Nel sistema attuale i vini AOP rappresenteranno una percentuale elevata della produzione totale, mentre infatti la categoria più alta dei vini di qualità dovrebbe rappresentare al massimo il 25% della produzione, se il marchio si vuole credibile.
L’introduzione di una nuova OCM sarebbe stata l’occasione per ridefinire la mappa delle aree vinicole d’Europa, e per creare un sistema più facile da capire e applicabile a tutti i paesi produttori con vere garanzie di qualità.
Effettivamente la classificazione e l’etichettatura dei vini e il concetto di indicazione di origine geografica non è stato cambiato che nei dettagli, sostituendo le nozioni attuali di “vino da tavola con indicazione geografica” (i nostri vini IGT) e i più nobili “Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate - VQPRD, ndr.” (i nostri vini DOC) con, si afferma, “regole di classificazione e etichettatura del vino più chiare, più coerenti e, di conseguenza, più indirizzate al mercato”.
La nuova classificazione si basa sull’idea di vini con Indicazione Geografica (IG), che includono “due sotto-categorie:
- quella dei vini con indicazione geografica protetta (IGP)
- e quella dei vini con denominazione di origine protetta (DOP)”.
L’articolo 27 definisce un vino con denominazione di origine come un vino “del quale la qualità e le caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un ambiente geografico particolare e a fattori naturali e umani che gli sono inerenti”. Questa mi sembra un’ottima definizione di terroir, e in particolare di terroir interpretato nel senso più largo, al di là del suolo e del clima di un luogo e incorporando i “fattori umani”, peccato che la parola non venga usata esplicitamente. Ai fattori umani si sarebbe potuto aggiungere “fattori culturali”, permettendo di estendere il senso di terroir per includere non solo lo stile individuale di un produttore, ma anche in maniera più generale le tradizioni vitivinicole di una comunità di produttori. Ma è molto importante evitare che la denominazione di origine diventi strumento di omologazione dei vini intorno a una nozione di “tipicità” definita in maniera arbitraria. Inoltre uno dei problemi della definizione di cui sopra, è che si presta a interpretazioni in modo che praticamente qualsiasi area di produzione, per scarsa che sia, può trovare il modo di giustificare la creazione di una AOP.
Gli altri criteri di distinzione tra IGP e AOP sono ancor più problematici. Se i vini AOP devono provenire al 100% da uve della zona definita, i vini IGP permettono di usare un 85% di uve locali – lasciando la porta aperta all’importazione di uve meno care e di qualità minore, in contraddizione con gli obiettivi qualitativi dichiarati, e in modo incompatibile con la menzione dei vitigni e dell’annata su vini diluiti con uve di origine non precisata. Peccato dunque che i vini IGP debbano essere considerati come inferiori – al contrario, per restare competitivi questi vini dovranno pure loro obbedire a una logica di qualità; il fatto di avere origine meno precise, o piuttosto, l’assenza della nozione di terroir non deve diventare una scusa per abbassare la qualità, si tratta di rivolgersi ad un’altra fascia di mercato, una ancor più competitiva proprio perché è li che si incontrano i vini del nuovo mondo, e quindi si deve rispondere con la qualità e la trasparenza.
Secondo il preambolo del Regolamento proposto, “l’Unione vuole confermare, adattare, promuovere e valorizzare” il concetto di indicazione geografica, e così agendo considera che “la politica della qualità guadagna in chiarezza, semplicità, trasparenza ed efficacia”. Non è chiaro come la nuova classificazione sia differente dall’attuale, salvo nei dettagli, come per esempio l’autorizzazione per i vini da tavola senza indicazione geografica di portare indicazioni di annata e vitigno (cosa vietata oggi). Infatti, le differenze tra il sistema attuale e le nuove denominazioni proposte sono talmente sottili che tutte le denominazioni attuali saranno iscritte automaticamente reiscritte nel nuovo schema, come indicato all’Articolo 44: “Le denominazioni dei vini protette in conformità all’articolo 54 del regolamento (CE) 1493/1999 et dell’articolo 28 del regolamento (CE) n° 753/2002 sono automaticamente protette ai titoli del presente regolamento”. Ci saranno dunque pochi cambiamenti, e non ci sarà una selezione più rigorosa delle aree che si qualificano per lo statuto di AOP, tutte le DOC diventeranno AOP automaticamente, indipendentemente del fatto che esse rappresentino un terroir di qualità distinto o meno.
L’etichettatura sarà simile a quella definita nel Regolamento attuale, ma secondo l’Articolo 52 qualche indicazione opzionale sarà autorizzata, comprendendo l’annata, il nome di uno o più vitigni, e dei termini che indicano il contenuto in zucchero residuo (questi termini rimangono indefiniti, e pertanto il regolamento attuale include definizioni precise di termini come “secco” o “dolce” ecc.).
Ma la questione più scottante che vorrei trattare a proposito dell’etichettatura, visto che mi sono soffermato nella sezione precedente sulla necessità di ridurre il numero di pratiche enologiche autorizzate, è la seguente: come mai il vino continua a beneficiare di un’esenzione speciale dell’obbligo di indicare gli ingredienti sull’etichetta? Si tratta di un caso unico nel mondo dell’alimentazione e delle bevande, e totalmente ingiustificabile. Se i consumatori avessero avuto l’opportunità di esprimere le loro opinioni sulla riforma della OCM, avrebbero potuto insistere sull’etichettatura degli ingredienti. Poiché non furono consultati, non sarebbe ragionevole richiedere ora, prima che passi la riforma:
- o che tutti gli ingredienti del vino appaiano sull’etichetta,
- oppure che si diano garanzie che il vino è stato prodotto con due ingredienti, uva e un po’ di solfito?
Possiamo immaginare il giorno quando tutte le bottiglie di vino, in conformità con la prima frase dell’Allegato IV del regolamento proposto, recheranno la menzione obbligatoria seguente: “Il vino è il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica di uve fresche, con l’aggiunta eventuale di deboli dosi di solfiti per la sua conservazione”.
Dov’è la qualità?
Abbiamo letto nel preambolo del Regolamento proposto che gli obiettivi principali includono il rafforzamento della reputazione dei vini di qualità dell’UE, la riconquista di vecchi mercati e l’entrata in mercati nuovi, e la salvaguardia delle migliori tradizioni della produzione di vino comunitario.
Purtroppo il Regolamento proposto non definisce nuove misure concrete per realizzare questi obiettivi. Il vino dell’UE non può prosperare che appoggiandosi su una qualità ineccepibile, su un’etichettatura chiara e comprensibile e su una classificazione chiara e comune delle aree di produzione di tutta l’Europa. Abbiamo appena commentato sull’etichettatura e la classificazione, ma a proposito di qualità abbiamo anche notato l’assenza di restrizioni concrete sulle pratiche enologiche utilizzate per “correggere” vini difettosi – lo sappiamo tutti che le misure correttive non migliorano un vino – è il principio secondo il quale la qualità finale dipende dalla qualità all’inizio (in inglese, si dice “garbage in, garbage out”).
Le pratiche enologiche autorizzate da questa proposta sono le stesse autorizzate dal regolamento attualmente in vigore, ma definite in maniera più vaga, e paradossalmente i vini destinati all’esportazione avranno ancor meno restrizioni. Notiamo quindi una confusione seria tra, da un lato la competitività e la libertà del mercato, e dall’altra la libertà di agire con quanto meno restrizioni possibili. Al contrario, è precisamente sui vini destinati all’esportazione che le condizioni di produzione devono essere almeno di qualità uguale a quelle per la produzione domestica inter-europea.
Senza andare all’estremo di una legislazione radicale sul “vino naturale”, almeno si sarebbe potuto immaginare l’eliminazione delle pratiche enologiche che non contribuiscono a un vero miglioramento della qualità del vino, con conseguente incitazione a prestare più attenzione alla materia prima, le uve, e quindi la promozione di una produzione, sia da parte di aziende piccole che dalle grandi, di vino proveniente unicamente da frutti sani, maturi, puliti e naturalmente ricchi.
Benché questa proposta di regolamento preveda misure contro la torchiatura eccessiva delle uve, sarebbe stato opportuno includere nel regolamento altre regole di qualità, la più importante forse consiste nel limitare le rese delle vigne, probabilmente intorno ai 45 ettolitri per ettaro, o meglio, esprimendo il valore in termini di resa per pianta. I rendimenti sono attualmente calcolati su parcelle complete, includendo nel calcolo piante morte o aree non coltivate, con tolleranze generose del 20% e senza precisare che le misure devono essere vere rese di uva e non il limite che si può vendemmiare, magari lasciando il resto sulla pianta, o peggio, vendendo il resto per vino da tavola. Queste pratiche assurde sui rendimenti possono spiegare in parte la sovrapproduzione attuale, e per la scarsa qualità di certi vini.
Si potrebbero immaginare altre regole sulla qualità, per esempio, oggi abbiamo conoscenze sull’equilibrio del vino sufficienti per immaginare un regolamento sull’acidità e sullo zucchero residuo – la legge tedesca ha regole sul soggetto, ma si potrebbero stilare regole più generali per tutti i vini.
Un altro soggetto che non viene menzionato dal Regolamento proposto: i limiti sulle dosi di solfiti. Si sarebbe potuto immaginare un compromesso ragionevole tra i livelli molto bassi usati da certi viticoltori radicali, e i livelli assurdamente alti autorizzati dal regolamento attuale e impiegati spesso nella produzione di vino. I solfiti sono un soggetto scottante e pertanto non ben conosciuto dai consumatori, sarebbe stato opportuno trattare il soggetto e immaginare un Regolamento che avrebbe permesso all’UE di negoziare le condizioni assurde che governano la menzione obbligatoria “contiene solfiti” – la soglia essendo stata stabilita a un livello talmente basso che il 99% dei vini devono portare questa menzione, indipendentemente dal fatto che contengano dosi leggerissime o dosi da emicrania (ma legalmente autorizzate).
Conclusioni
Questa critica si vuole costruttiva, e spero di distinguermi chiaramente dalle proteste prevedibili presso quei viticoltori che hanno difficoltà a vivere nel mercato mondiale, che sono contro ogni cambiamento e che desiderano solo mantenere i vecchi vantaggi finanziari dell’attuale OCM. Per esempio, non sono d’accordo con le proteste contro il degrado del sistema attuale delle denominazioni, e non accetto le proteste di coloro che si oppongono all’estirpamento e vogliono mantenere il sistema assurdo dei diritti di impianto. Infatti la libertà di piantare e la riduzione delle superfici vitate sono alcuni degli aspetti più interessanti del nuovo regolamento.
Il Regolamento proposto è chiaramente il risultato di una consultazione di tutti gli attori della vitivinicoltura europea. Tutti tranne i consumatori, che non hanno potuto esprimere le loro opinioni e le loro preoccupazioni sul vino. Sembrerebbe che il compromesso che ne risulta non introduca innovazioni o miglioramenti sufficientemente coraggiosi in confronto al regolamento attuale. Benché le misure sulla libera piantagione delle vigne e il miglior uso dei budget dell’UE eliminino molte inefficienze nel mondo del vino europeo, i miglioramenti tangibili dal consumatore non sono forse sufficienti per stimolare il mercato e accrescere la reputazione del vino Europeo.
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L'autore di questo intervento:
Mike Tommasi (nella foto di Filippo Ronco qui a lato) con raro understatement si definisce un "ingegnere appassionato di vino". Talmente appassionato da essere stato, en passant, tra i fondatori della sezione francese del movimento Slow Food, fino a ricoprire nel recente passato la responsabilità di Vice Presidente. Vive nel sud della Francia, in Provenza. Ottimo conoscitore dei vini d'Oltralpe, contribuisce a selezionare i vini francesi presenti alla rassegna di Tigullio Vin.it. Infine, Mike cura la versione inglese del wine blog TheWineBlog.net, al quale Aristide è riuscito a "strappare" l'anteprima in italiano... insomma, un bel esempio di come la conoscenza sulla rete non è un geloso patrimonio di pochi. Chapeau!
Qui trovate la versione in lingua inglese dell'editoriale qui pubblicato.
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La prima foto di questo post:
- immagine ripresa da Aristide durante il Vinitaly 2007.