Il tabù del lavare l'uva (2)
Il post dedicato da Aristide all'intervista a Mario Pojer (Pojer & Sandri di Faedo, Trento) ha generato commenti e domande di grande interesse (qui il post) sul tema del lavaggio dell'uva appena vendemmiata prima della sua immissione nel processo di vinificazione. La questione sulla quale ci si interroga è se questo sistema di lavaggio rimuova, o riduca notevolmente, anche la microflora indigena presente naturalmente sulle uve.
Aristide ha ricevuto poco fa un commento autorevole che risponde alle questioni sollevate. La fonte è siglata in tandem dalla Prof.ssa Sandra Torriani e dal Dott. Matteo Cavagna, del Dipartimento di Scienze, Tecnologie e Mercati della Vite e del Vino dell'Università degli Studi di Verona, il dipartimento con sede a San Floriano, nel cuore della Valpolicella.
Ringrazio vivamente i due studiosi per il contributo fornito. Data la rilevanza dell'intervento, ho pensato di darne la massima evidenza ri-pubblicandolo in questo post.
Ecco il testo integrale del commento pervenuto:
Vogliamo fornire con questo intervento, se non una risposta esauriente, perlomeno alcune indicazioni dell’effetto dell’operazione di lavaggio sulla microflora indigena delle uve. Eravamo presenti alla sperimentazione effettuata presso Cantina Sociale di Toblino ove abbiamo potuto prelevare campioni d’uva prima e dopo il lavaggio, di mosto fiore e d’acqua di lavaggio.
Su questi campioni abbiamo eseguito indagini microbiologiche preliminari volte alla quantificazione del microflora fungina (lieviti e muffe).
Infatti siamo interessati ai possibili sviluppi offerti da una vinificazione “meno stressante” realizzabile con questa tecnica in quanto siamo impegnati in un progetto di selezione della microflora autoctona per la filiera di produzione del Vino Santo Trentino. Sono infatti da recepire in questo senso i possibili vantaggi del trattamento che, attraverso la rimozione di composti inibenti, potrebbe di fatto favorire l’azione della microflora indigena. Dovevamo però ancora rispondere al quesito inerente la rimozione della microflora nel corso del lavaggio. Ad ogni modo, il trattamento ci è sembrato piuttosto “soft” suggerendone un’azione limitata sulla popolazione microbica.
Dobbiamo altresì sottolineare che il materiale sottoposto ad analisi (uva appassita) presenta elevata variabilità microbiologica tra i differenti campioni oltre ad una superficie irregolare che rende difficile la rimozione dei microrganismi.
I risultati preliminari da noi ottenuti sull’uva lavata e non lavata non hanno evidenziato cambiamenti quantitativi importanti nella carica fungina delle uve. Infatti, la popolazione di Botrytis cinerea, non ha risentito dell’operazione di lavaggio. A conferma della rimozione limitata dei microrganismi nel corso del processo abbiamo rilevato una bassa carica microbica nelle acque di lavaggio. Un’ulteriore conferma si è avuta dalle prove di microvinificazione che abbiamo allestito presso i nostri laboratori della Facoltà di Scienze in cui abbiamo verificato la capacità del mosto ottenuto dalle uve sottoposte a lavaggio di portare a termine la fermentazione spontanea pur rilevandone un ritardo nell’avvio di fermentazione. Da queste microvinificazioni abbiamo isolato differenti colonie di lievito che stiamo attualmente sottoponendo ad identificazione per capire se il lavaggio delle uve possa aver operato una selezione nelle componenti lievitiformi.
In conclusione – in base ai dati preliminari da noi ottenuti – l’operazione di lavaggio delle uve non comporta cambiamenti importanti nella microflora fungina delle uve passite sottoposte ad analisi.Prof.ssa Sandra Torriani & Dott. Matteo Cavagna
Dipartimento di Scienze, Tecnologie e Mercati della Vite e del Vino, Università degli Studi di Verona.