Chip, il bicchiere piange
Stiamo seguendo da almeno due mesi il dibattito in rete: l'Unione Europea ha autorizzato la pratica dell'uso dei cosiddetti trucioli di legno di rovere, altrimenti noti nell'ambiente come chips. Noi abbiamo scoperto che l'uso dei chips sarebbe cosa risibile al confronto di quanto già oggi il mercato offre in alternativa all'alternativa della botte in barrique. Ma abbiate la pazienza di leggerci fino in fondo...
L'uso dei chips era formalmente vietato, al di là di una certa quota di vino producibile a titolo sperimentale e in quantità limitata. Lo scopo principale del produttore che utilizza i chips - o intere doghe di legno di rovere immerse nel vino - è quello di fornire un prodotto con un sapore riconoscibile di legno a costi notevolemente più bassi rispetto all'affinamento realizzato nelle piccole botti note con il nome di barrique. Per gli appassionati del genere "vino alla barrique" o "barriccato" risulta difficilmente distinguibile se l'origine del tanto apprezzato sapore provenga dal contributo di una botte ancora intera o da un legno simile estratto dal riciclo di vecchie botti o legni di scarto ridotti in doghe ancora intere o in piccole scaglie o cubetti.
Ma perchè il legno nel vino?
Senza tediare nessuno con lunghe spiegazioni storiche e tecniche, inquadreremmo la risposta in questo contesto: sin dall'antichità si è usata la pratica di aggiungere sapori al vino per ricavarne un gusto migliore, anzi addirittura per renderlo bevibile. Miele, spezie, aloe, assenzio, resine, unguenti, balsami, cannella, zenzero, mastice, chiodi di garofano, mirra, zafferano, erano le più comuni aggiunte al vino impiegate nell'antichità fino al Medioevo qui in Europa. Oggi compriamo vini aromatizzati come il vermouth o il Barolo Chinato. Ed usiamo il legno.
L'uso del legno per l'affinamento del vino è una pratica che risale a tempi antichi, ma non antichissimi. Non si sa esattamente la motivazione per la quale, ad un certo punto, si sia passati all'impiego di contenitori in legno abbandonando la terracotta delle anfore o altri materiali. Di certo la botte in legno era un contenitore ideale per il trasporto e la conservazione di molti liquidi: la tenuta del legno di quercia, la solidità e la comodità nello spostare per rotolamento la botte, sono stati fattori decisivi per la sua adozione. Tra questi non c'era di sicuro il "sapore di legno" nel vino, caratteristica che si è rivelata successivamente. Un elemento chiave del "sapore di legno" è la tostatura: le doghe di legno vengono riscaldate per essere piegate e la parte interna della botte viene sottoposta ad un processo di bruciatura superficiale (tostatura). Nel caso di legni nuovi lo scambio di sostanze con il vino risulta essere significativo e, nel caso di un uso appropriato (leggasi: affinamento non eccessivamente lungo in barrique, soprattutto se nuova) l'apporto del legno al vino è senz'altro benefico.
Un altro effetto, forse il più importante, dell'affinamento del vino in botte è l'apporto di ossigeno. Di solito chi vinifica abborre esporre il vino all'ossigeno, ma la lenta esposizione a bassi livelli di ossigeno garantiti dalla botte attraverso il legno aggiunge struttura e carattere al vino, soprattutto se destinato ad essere invecchiato.
In questo contesto abbiamo da una parte, tra gli elementi senz'altro positivi:
- il legno consente lo scambio di ossigeno strutturando e caratterizzando il vino;
- alcune sostanze cedute dal legno al vino lo arricchiscono di elementi gustativi dolci come la vaniglia e alcuni sentori speziati, a patto che tutto rimanga appena accennato e non "copra" il vino;
- per ottenere risultati ideali molti produttori usano mix di legni diversi per bilanciare il risultato finale, senza eccedere nel sapore di legno (pratica indubbiamente costosa).
Sul lato negativo abbiamo:
- l'uso di legni non adatti al tipo di vino che si vuole realizzare: ci sono enormi differenze tra il rovere americano (Quercus alba, speziato, di forte sapore) e quello francese (Quercus petraea e/o Quercus robur, più delicato ed equilibrato);
- tostature eccessive impattano, per esempio, con sentori affumicati sul vino;
- l'indubbia impressione (ricorrente in Aristide) che spesso il legno serva a coprire difetti strutturali del vino;
- il costo elevato dell'affinamento in barrique di rovere relega l'uso di questa pratica ai soli vini di alta qualità (e prezzo finale).
Ma i vignaioli sono interessati ad estendere alcuni aspetti del legno anche ai loro vini più economici. E' per questo motivo che le "alternative" alla barrique sono diventate sempre più popolari. Da qui nasce la questione del ricorso ai trucioli o chips.
Molto si è scritto in questi giorni sull'argomento.
A noi preme sottolineare alcuni punti:
- partiamo dal nostro Codice Aristide, esattamente dal punto n. 2, che recita:
Il vino è la trasformazione alimentare di un frutto
Il liquido prodotto dall'uva deve ricondurci ad essa ed agli elementi più tipici del suo territorio. Non deve sapere di quercia, cedro, muschio, catrame, tabacco, aia di fattoria o stalla, cerotto, ecc.
- Siccome "nessun pasto è gratis", il ricorso ai più economici chips non è senza contro-indicazioni: molti esperti concordano sul fatto che i chips sono uno dei sistemi più igienici per aggiungere sapore di legno al vino (badate bene: aggiungere sapore...) dal momento che il processo avviene in vasche d'acciaio. Gli stessi esperti concordano però sul fatto che rimanga aperto il dibattito sulle complesse interazioni tra aria, rovere e vino e la potenziale perdita di struttura e carattere del vino, tutto a causa della troppo breve durata del contatto tra i chips ed il vino.
- I consumatori devono decidere che tipi di vini preferiscono consumare: in ogni caso, un vino "affinato nel legno" (oaked dicono gli anglosassoni) con un prezzo sullo scaffale al di sotto dei 7-8 Euro è sicuramente prodotto con i chips.
- I produttori devono decidere che tipo di mercato vogliono inseguire: tutti, alcuni, solo uno.
A noi sembra che rendere i propri vini delle commodities, ovvero delle merci di base in mercati altamente competitivi in mano a grandi corporation australiane o americane, fortissime sul piano commerciale e marketing, sia una strategia diabolicamente auto-lesionista. Noi l'abbiamo già visto in altri settori: l'incapacità di una parte della nostra classe imprenditoriale nello sviluppare valore aggiunto attraverso la ricerca, l'innovazione, il design, il marketing, ecc. li relega ad utilizzare una sola leva: il prezzo.
- La nostra preoccupazione più grande non sono i chips.
Come è facilmente constatabile su Internet, esistono da tempo le alternative ai chips, ovvero le "essenze di rovere" (qui nella foto), in comode bustine da 30mL. da aggiungersi direttamente nel vino: "amplifica il sapore del vino e riduce i tempi di affinamento", così recita in inglese l'etichetta di questo prodotto qui a fianco (mentre è un pò più vago questo, e quest'altro vi solletica così: "evitatevi la seccatura dei chips di rovere..."). "SINATIN 17" è il nome commerciale più diffuso, ma esistono già le imitazioni (qui).
Secondo Wine Art Indy, un commerciante americano, il Sinatin 17 verrebbe prodotto in Spagna, nella Rioja, dalla macerazione di rovere europei in alcool distillato dal vino.
Come vedete, non esiste limite al peggio. E' questa la strada che i signori industriali del vino desiderano intraprendere? Non hanno scherzato abbastanza con la salute dei consumatori nel passato non troppo recente?
Una nota leggera per concludere.
Sapete che fine possono fare i chips una volta usati e ri-usati nel vino?
Accenderanno il vostro barbecue, conferendo al vostro pollastro o bisteccona di manzo un gradevole sentore di vino, grazie alle braci ottenute dai chips in esso imbevuti per almeno un anno...