Il vino che era, il vino che sarà
Immaginate un piccolo vigneto in una valle stretta e lunga. Esso contiene alcune antiche varietà autoctone di uve della Vallagarina, la valle che contiene il fiume Adige tra Rovereto (a Nord, provincia di Trento) e Dolcè (a Sud, provincia di Verona), vitigni sia a bacca rossa che bianca, tra i quali la peverella, la vernazza, la turca, la negrara, la corbina e la corbinella. Siamo all'ingresso della Corte del Foja Tonda, nei pressi di Dolcè, dove ha sede la cantina di Albino Armani. Il piccolo vigneto, denominato "La Conservatoria", è stato impiantato nel 2003 a titolo sperimentale. Qui, Albino Armani sta consolidando la collaborazione con i ricercatori dell'Istituto Agrario di San Michele all'Adige, attuando una serie di studi e prove di vinificazione.
Per presentare i primi risultati di questo interessante (e meritorio) lavoro, Albino Armani ha invitato a convegno, lo scorso sabato 6 maggio, numerosi operatori sotto il segno di una provocazione nel titolo dell'occasione: "Il vino che era, il vino che verrà: è possibile brevettare la tradizione?".
Insieme a Marco Stefanini e Tiziano Tommasi, ricercatori dell'Istituto di San Michele all'Adige (IASMA), Emanuele Tosi, ricercatore del Centro Sperimentale per la Vitivinicoltura di San Floriano (VR), Francesco Polastri, enologo di Armani, la giornalista Elisabetta Tosi (nostra attenta lettrice) nel ruolo di moderatore, Albino Armani ci ha condotto in una viaggio nel tempo, partendo dalle prime ricerche sulla varietà in via di estinzione nella parti più remote Vallagarina, attraverso il lavoro dei ricercatori dell'IASMA, fino alla collaborazione di oggi, che ci ha portato a degustare alcune micro-vinificazioni provenienti sia da "La Conservatoria" che dai vigneti sperimentali dell'IASMA.
Precisiamo subito che il lavoro del quale si sono e si stanno occupando allo IASMA non riguarda manipolazioni genetiche del tipo indotto attraverso metodi di bio-ingegneria. Lo scorso marzo ha fatto molta sensazione la notizia che allo IASMA, dopo sei anni di ricerche e studi, sono riusciti a decodificare il genoma della vite prendendo come pianta modello il Pinot Nero, una delle più importanti cultivar a livello mondiale. E' stata così realizzata la prima "mappa fisica" della vite, che verrà completata entro pochi mesi con il "sequenziamento" completo dei dati del DNA della vite e la messa a disposizione delle informazioni raccolte a tutta la comunità scientifica internazionale. Il lavoro che riguarda il recupero delle vecchie varietà e lo sviluppo di nuovi genotipi, è generato invece con la tradizionale tecnica degli incroci per produrre, per esempio, individui resistenti o tolleranti verso nuovi parassiti o agli attacchi dei funghi che affliggono la vite. Questa tecnica ha consentito per secoli lo sviluppo di un'infinità di varietà e variabilità delle specie coltivate dall'uomo, apportando consistenti modifiche nelle caratteristiche della materia prima che causano l'abbandono delle varietà non più rispondenti alle esigenze di produzione. Tali trasformazioni sono molto profonde e spesso irreversibili, soprattutto quando le cause sono legate a fenomeni di introduzione di patogeni come le malattie funginee o di insetti.
La filossera, il parassita che colpì oltre un secolo fa le vigne europee così come quelle di questa zona, costrinse i produttori a ricostruire su nuove basi la viticoltura, portando ad una riduzione forte della variabilità esistente, indirizzandosi verso l'utilizzo di varietà con caratteristiche che meglio si adattavano alle nuove condizioni ambientali.
E' questa la causa della repentina scomparsa di parecchie varietà (circa 2.000 solo in Italia): la selezione attuata dall'uomo sfruttando una situazione innescata dalla natura, per favorire la diffusione delle varietà più produttive. Carte viticole e disciplinari delle DOC, insieme a motivi qualitativi e commerciali, hanno ridotto ulteriormente le varietà negli ultimi 20 anni.
Ora il pendolo sembra aver invertito il suo movimento: sempre più si riscopre l'importanza degli antichi vitigni nelle singole zone. Non si tratta di una moda: essi hanno permesso, in alcuni casi, di ottenere prodotti interessanti, oltre a rispondere ad esigenze di peculiarità ed identità con il territorio.
Questa grande varietà di vitigni che stiamo riscoprendo e ricombinando in nuovi genotipi attraverso gli incroci, sembra essere una formidabile forza del vino italiano. Potrebbe essere l'avvisaglia di un nuovo boom economico e di grandi fortune sui mercati interno ed internazionale. Ecco perchè, probabilmente e secondo noi, Albino Armani pone la questione della brevettabilità di questi prodotti. Vorremmo solamente che si prestasse attenzione anche alle esigenze dei consumatori: questa rivoluzione è incentrata troppo sul prodotto, troppo poco sulla focalizzazione delle esigenze dei consumatori italiani ed internazionali, che sono molto ampie, variegate e complesse. Ricombinare varietà tradizionali per creare nuovi genotipi allo scopo di migliorare la qualità dell'uva in vigna è senz'altro un obiettivo nobilissimo: magari ci si potrà risparmiare l'uso di certi additivi ed il ricorso a pratiche di cantina non proprio trasparenti, per correggere difetti strutturali della materia prima.
Ricerca ed innovazione sul prodotto/materia prima (assolutamente necessari, intendiamoci bene!) non devono distrarre dalla ricerca ed innovazione verso il mercato, l'ambito dove i nostri produttori mostrano gravi ritardi e carenze. Ricerca da finalizzare per rafforzare, definire, chiarire e comunicare l'identità dei tanti terroir italiani.
E poi la salubrità del prodotto: trasparenza nel comunicarlo ed integrità nel produrlo.
E, last but not least, la comunicazione e il marketing per veicolare sui mercati tutti questi messaggi sfruttando tutti i mezzi di comunicazione interattiva offerti da Internet.
Infine i vini degustati.
Su tutti ci hanno fatto un'ottima impressione le micro-vinificazioni (circa 20 kg. di uva per tipo) di Vernazzola, Nera dei Baisi ed un incrocio di "Moscato Rosa X Moscato Ottonel", contrassegnato dal codice F3-P36 (qui nella foto).
In particolare Nera dei Baisi, vitigno originario della Valle di Terragnolo, Baisi, è una cultivar a bacca rossa sulla quale Armani ed i suoi tecnici ripongono molte aspettative. Ne sentirete sicuramente parlare in futuro: che sia ri-nata una stella?