Quanta manipolazione è accettabile nel vino?
Alcuni mesi fa anticipammo un post che parlava di un libro in uscita nel Regno Unito e negli USA, incentrato sul complesso ruolo della scienza nell’arte del fare vino. Si tratta di Wine Science, il cui autore, Jamie Goode, è un giovane e affermato wine writer inglese.
Impegnati come siamo e ci sentiamo nel dibattito su "vini naturali vs. vini convenzionali", proviamo a tener fede ad una promessa fatta allora, ovvero di rendere conto periodicamente ai lettori di Aristide sui contenuti principali del libro.
Casca quindi a fagiolo la lettura di un interessante capitolo che Jamie Goode dedica alla "scienza in cantina", del quale proviamo qui a fornirvi una sintesi-traduzione. Anche se lunga, vi assicuriamo che vale la pena spenderci qualche minuto di lettura e riflessione.
Quanta manipolazione è accettabile nel vino?
Il vino può essere prodotto naturalmente. Semplicemente, il processo della produzione del vino richiede la vendemmia delle uve, rovesciarle in un tino, pressarle un poco, e lasciarle fermentare. Quando la fermentazione sarà completa, separare la materia solida dalla liquida ed avremo il vino. Ma i vignaioli spesso aggiungono qualcosa al loro vino. Ci sono ragioni diverse per fare ciò, alcune migliori di altre, e proprio tutto ciò ci porta alla spinosa domanda che oggi è al cuore di tutti i dibattiti nei circoli dei produttori e degli appassionati: quanto manipolazione è accettabile?
Non c'è una risposta semplice a questa domanda. Si tratta di una zona grigia, nella quale qualsiasi tentativo di prescrivere accettabili livelli di manipolazione non è altro che un esercizio simile a segnare una linea sulla sabbia.
Ciò non significa che non si debba tentare di fare qualche distinzione. Leggi sul vino esistono in tutti i paesi e le regioni di produzione vinicola, e virtualmente tutte indicano i tipi di manipolazione accettati e quelli vietati, mentre alcune regolamentazioni sono più restrittive di altre. Per cercare di comprendere i problemi insiti in questa discussione, proviamo a considerare quattro differenti posizioni al riguardo, cercando di indicare i punti di forza e debolezza di ciascuna.
Addizionare
Un vino dovrebbe essere valutato solamente dal gusto? Bere vino è puramente un'esperienza sensoriale? Alcuni la pensano così. Se così è, non ci sarebbe alcun motivo di proibire l'uso di additivi. La risposta sta nel bicchiere, e se esistono modi per migliorare il gusto allora dovrebbero essere consentiti.
La debolezza di questa posizione sta nell'ignorare il fatto che il vino è un "acquisto discrezionale". Certamente, i buoni vini sono qualcosa che il pubblico acquista in parte perchè non sono "costruiti": l'uva non è considerata solo come la materia prima necessaria all'inizio del processo di trasformazione. L'uva è ricondotta al suolo ed al vigneto di un determinato territorio. Parte del fascino del vino è che si tratta di un prodotto naturale ricco di cultura, e la sua immagine ne soffre per ogni manipolazione consentita senza alcun scrupolo.
Non addizionare nulla
L'idea di non aggiungere assolutamente nulla al vino è una posizione estrema per una ragione: l'anidride solforosa (SO2). Altrimenti indicata nelle etichette con la dizione "solfiti", essa è intrinseca alla vinificazione perché è molto difficile creare vini di qualità senza ricorrervi. Il suo ruolo é vitale come anti-ossidante, conservante, microbicida, nella prevenzione dello sviluppo di batteri e lieviti dannosi ai vari stadi dell'affinamento e conservazione: essa viene aggiunta durante la vinificazione ed all'imbottigliamento. Alcuni vignaioli ed enologi tentano coraggiosamente di creare vini senza SO2 per ricercare la naturalezza o la salubrità del vino. Occorre comunque tenere presente che l'SO2 viene naturalmente prodotta durante la fermentazione in quantitativi non trascurabili.
Addizionare il meno possibile
E' una posizione lodevole per la ragione illustrata prima: il vino è percepito dai consumatori come un prodotto naturale e ciò fa parte del suo fascino. Un'approccio sensibile alla vinificazione sta nell'aggiungere qualcosa solamente se "non aggiungere" rischia di compromettere la qualità del vino; dopo di ché, si aggiunge il meno possibile. E' difficile creare buoni vini senza SO2, ma gli effetti di qualsiasi addizione possono essere massimizzati da un impiego attento e intelligente, per esempio per compensare problemi climatici nei climi molto caldi.
Per secoli si è fatto uso di botti in legno di quercia ed il loro uso è solo parzialmente in discussione proprio perché sono considerate "tradizionali". L'uso di botti in legno nuovo di quercia può essere considerato alla stregua di una manipolazione con additivi, perchè apportano importanti componenti gustative al vino. L'uso intelligente di queste botti è un elemento vitale nella vinificazione di molti vini di qualità ed è difficile immaginare per essi l'abbandono del loro impiego. Ma provate a considerare cosa succederebbe se non fossero mai state usate prima e qualcuno cercasse di introdurle oggi: immaginate lo scandalo che solleverebbero in molti di noi.
Tutto ciò pone la questione se sia ipocrita acconsentire all'impiego di legni nuovi ed escludere le manipolazioni ad alta-tecnologia come la micro-ossigenazione e la osmosi inversa. Per contro, questo atteggiamento accondiscendente verso le "manipolazioni tradizionali" ed avverso a quelle più moderne ha solide basi: quello di preservare l'integrità del prodotto agli occhi dei consumatori. La scuola di pensiero del "addizionare-il-meno-possibile" senza dubbio si opporrebbe alle nuove manipolazioni high-tech, benché si possa al limite argomentare che la riduzione del tasso alcolico tramite l'osmosi inversa prevenga livelli eccessivi di alcool in grado di compromettere la qualità del vino - ed essere così tollerata.
Il Compromesso
L'ultima posizione nel nostro dibattito potrebbe permettere alcune manipolazioni al di fuori di quelle giudicate come "ingannevoli". Trasparenza ed onestà sono qui le parole chiave: per esempio, addizionare alcuni elementi può essere consentito finchè il loro impiego sia dichiarato, e le leggi in materia non le proibiscano esplicitamente.
Quindi dove dovrebbe essere tracciata la linea di demarcazione? Un argomento forte può essere il bandire manipolazioni come insaporitori chimici non tradizionali: faccio fatica ad immaginare che si possa seriamente sostenere l'impiego di aromi alla frutta nel realizzare vini e che la risultante di questa manipolazione possa essere etichettata come "vino". Per contro, questo approccio potrebbe guardare con maggior favore alla micro-ossigenazione e l'osmosi inversa. Queste tecnologie, come altre tecnologie, sono dei meri strumenti, e gli strumenti possono essere utilizzati sia bene che male. Ciò che conta è quanto bene siano utilizzati, non il fatto che siano o non siano utilizzati nella produzione di vino.
Conclusioni
Di recente si sta sviluppando una relazione di sempre maggiore fiducia tra consumatori e vignaioli. Credo che dove le manipolazioni del vino siano impiegate nella vinificazione, esse vadano dichiarate pubblicamente: così i consumatori possono operare una scelta sul vino da comprare sulla base di queste informazioni. Se vogliono un vino totalmente naturale, senza SO2, non ci sarà problema. Se vogliono un vino da un produttore che impiega il meno possibile di manipolazione, anche qui non si sarà alcun problema. Al contrario, se non sono interessati a come il vino venga prodotto e si preoccupano solamente del gusto del vino, questa è la loro scelta. Sospetto che molti consumatori sarebbero alquanto sorpresi dal grado di manipolazione attualmente impiegato in molti vini: questo perché la percezione collettiva è che il vino sia un prodotto abbastanza "naturale", sostanzialemente privo di additivi.
Come affermato qui sopra, i diversi metodi di manipolazione del vino sono solo "strumenti"; possono essere usati saggiamente, oppure assai male, oppure per nulla. Il loro impiego è discrezionale, riguardo alla giustificazione del loro utilizzo non è possibile adottare una decisione globale con la "copertura" legale di disciplinari o regolamenti. Vorreste un vino naturale difettoso quando una semplice manipolazione può eliminare il difetto? Questa è una domanda difficile, complessa: per esempio, cosa è un "difetto" nel contesto di un vino naturale?
Ecco perchè sosterrei una politica che lasci liberoil vignaiolo di fare le sue scelte, combinata con la trasparenza e l'onestà nel dichiarare il livello di manipolazione al consumatore, se e quando questa venga usata nel vino.
E' possibile argomentare che differenti categorie di vini possano essere trattate differentemente. Mentre la manipolazione si può rendere necessaria ad "aiutare" un vino comune prodotto da uve non proprio perfette, non dovrebbe essere il caso di utilizzare manipolazioni al di là di quanto non sia assolutamente necessario per vini di qualità superiore.
Le regole sono importanti per preservare l'integrità del vino e proteggere i consumatori dalle contraffazioni, ma esse dovrebbero essere applicate localmente anzichè globalmente. Alcune manipolazioni, come l'aggiunta di composti chimici come agenti insaporitori (sia che esistano già naturalmente nel vino, o no) sono pratiche indifendibili e vanno in ogno caso bandite.
Fin qui Jamie Goode. Vi lasciamo riflettere e commentare. Poi diremo la nostra.