Mondosapore: impressioni sul vino italiano
Torna a scriverci l'amico Terry Hughes. Da New York ci racconta una nuova tappa del suo personale viaggio nel mondo del vino italiano negli USA.
Attenzione: Metafora malandata!
Ogni tanto provo la sensazione di nuotare in un grandissimo lago di vino italiano. D’estate mi tuffo al fondo visibile, chiaro come il Vermentino. Venuta la freschezza d’ottobre ecco il mare scuro come il Nero d’Avola.
Una bottiglia ogni sera, un pasto elevato dal sapore ricco di vitigno autoctono, cioè d’Aglianico, Falanghina, Greco, Grillo, Freisa, Nieddera, Teroldego, Frappato, Nebbiolo… galleggio contento.
Sembra infinito questo lago, sempre capace di svelarti nuovi sapori, insperate delizie, abbinamenti sensazionali.
O Oenotria formosa, et caetera.
Ma perchè la California non sa fare tanti vini diversi, bravi, puri? E a buon prezzo?
Ora, sul serio
Qualche settimana fa ho assistito ad una degustazione per i ristoratori e i dettaglianti, ospitata da Douglas Polaner, importatore di vini pregiati, newyorkese. Erano presentati circa 400 vini di molti paesi, fra i quali 90-100 italiani. Io ne ho assaggiati 75-80, 55-60 dei quali erano italiani.
La mia intenzione era approfondire la conoscenza dei vini italiani, e paragonare (se fosse veramente possibile) “Italia” e “California”.
Mission accomplished.
Non vi annoierò. I miei appunti resteranno i miei, senza troppi dettagli. Basta dire che ho scoperto la causa radicale della mia antipatia per i vini californiani.
California monolitica
La vera sorpresa? I vini californiani, a tutti i prezzi, esibiscono lo stesso profilo: superalcool, poca acidità, iper-estrazione, rovere su rovere, dolcezza pesante. A qualcuno piace questo stile, ma se non ti piace bere un calice di trucioli zuccherati, evita i vini del Golden State. La maggior parte di essi danno la sensazione di esser ideati da un “Commissariato Vinicolo”. Uniformità sconcertante, ultraconformista. Se solo sapessimo contro chi puntare il dito…
In contrasto, l’Italia mi pare un Eden della diversità. Dal Teroldego di Elisabetta Foradori al Sangiovese di Montellori, dall’Amarone di Tommaso Bussola all’elegante Montepulciano d’Abruzzo di Emidio Pepe (degustazione verticale dal 1974), i distinti vitigni e i terroirs d’Italia mi hanno segnalato la grandezza presente e potenziale del Paese.
Un’impressione rafforzata da un cosiddetto supertuscan: Avvoltore di Moris Farms. Questo prodotto dell’ingegneria vinicola, creato con la meta di farsi premiare con i 93 punti (Wine Spectator), mi ha stupito non per il prezzo e neanche per il profilo “californiano”, ma per il fatto che sia composto di Sangiovese - 100% Sangiovese! - e, almeno per me, esibisce il sapore e il peso dei Cabernet Sauvignon “bomba frutta” di Napa. Bell’esemplare dell’anti-terroir, e il contrasto verso la raffinatezza bilanciata del Montellori dà rilievo alla vera competenza concorrenziale del vino italiano: rispetta la terra, la tradizione, la bocca e il cibo. E lo puoi bere con godimento onesto, non solo assaggiarlo come se fosse una gara di pretensioni.
E così, che berremo stasera?
Fa caldo a New York, è umido come d’estate. Mangeremo un pesto e un’insalata di pomodori con basilico. Bianco, allora. Rinfrescante, assai complesso, un pochino di rovere e non più. Un bel Falanghina di Feudi di San Gregorio.
Addio, California, quasi per sempre. Ciao, Campania.
Come sempre a casa mia, beviamo un po’ d’Italia e la sera è bella.
Terry Hughes
------------------
Nelle foto dell'autore:
- "opulento" scaffale "Italiano" in casa Hughes;
- Sofia Pepe della Vini Emidio Pepe.