Dalle strade di New York (1.a parte)
Aristide si arricchisce da oggi di un prezioso collaboratore: Terry Hughes, un amico americano acquisito sin quasi dalla nascita di questo blog, da quando ci segue con preziosi ed informati commenti. Terry vive e lavora a New York, è un appassionato enofilo senza legami professionali nel settore del vino (uno dei nostri, insomma). Da New York ci racconterà, con gli occhi ed il palato del consumatore particolarmente affezionato ai nostri vini, come il vino italiano sia apprezzato negli USA, proprio ora che comincia ad imporsi all'attenzione del pubblico del Nuovo Mondo.
Benvenuto tra noi, Terry!
Salve, amici del vino, Italiani ed altri.
Dalla Grande Mela vi offro delle buone notizie e delle cattive notizie. Quali volete prima?
- alcuni consumatori amano i vini italiani;
- la maggioranza beota li ignora e compra i "vini animali" come Yellow Tail ("numero 1" dei "trendsetter wines" - vini di tendenza, ndr. - secondo un articolo su TMCNet: "IRI Unveils Top 25 Table Wine Trendsetters Ranking"). Questo consumatore è contento di caricare il carrello con promesse di buon tempo e la semplice sbornia alla Crocodile Dundee. Per pochissimi dollari.
E ricordiamoci che nemmeno il grande mercato americano si muove da sè, a volte qualcuno deve spingerlo. Questo indeterminato qualcuno fa gran parte delle mie cattive notizie, come rivelerò più avanti.
Una visita alla Astor Wines, il più grande dettagliante di vino di NYC.
Ho parlato con due commessi dell'Astor Wines & Spirits, Amanda Crawford e Warren Radford. Amanda avverte che l'Australia "sta ammazzando" l'Italia quanto al volume di vini venduti. E secondo Warren, l'Australia vince la guerra dei jug wines (vini da tavola nei grandi bottiglioni, ndt.), rubando quote di mercato anche alla California - secondo la mia opinione, i vini-box (confezioni di cartone o Tetrapack, ndt.) della California sono chiaramente inferiori a quelli dell'Australia. Ma questo non importa, perchè lo share californiano del mercato USA rimane all'80%.
Amanda continua: "Etichette e termini enologici italiani confondono il medio consumatore americano". Quelle australiane sono semplici e chiare, con marchi ormai ben conosciuti. Non è solo questione di lingua inglese vs. italiano: 10 anni fa chi sapeva cos'era lo Shiraz? Gli Aussies hanno creato una loro identità ex nihilo.
The good news? Amanda afferma che sì, ci sono anche buone notizie: "Quando i clienti assaggiano vino italiano, tornano e ne chiedono di più. I vini meridionali crescono ed il rapporto qualità/prezzo è fantastico - in particolare quelli siciliani ed il Montepulciano d'Abruzzo. La gente vuole il vino italiano".
Aggiunge Warren: "Alcuni consumatori cominciano ad essere più avventurieri, lasciando i soliti Cabernet e Chianti per i vitigni autoctoni. Sì, certo, molti continuano a chiedere solo Brunello e gli altri toscani, senza rischiare un'avventura. Cerchiamo di convincerli di provare altri vini. Per esempio, noi amiamo il Frappato e Nero d'Avola". Dice che per lui e i suoi colleghi, i vini del Mezzogiorno danno al consumatore "great tastes, great values" (grandi sapori, grande valore, inteso come prezzo, ndt.).
Un commento interessante di Amanda: "I vini del Sud America offrono al consumatore prezzi incredibili. Ma i nostri clienti rimangono spesso delusi dalla qualità, ed è un problema particolare per i cileni". Amanda aggiunge che questo problema non esiste più per i produttori italiani. La qualità è affidabile su tutti i punti di prezzo.
Insomma, etichette e profusione dei marchi impediscono il progresso dei vini italiani negli USA, anche se Il tutto viene equilibrato dalla qualità e incredibile varietà dei sapori. E' un problema di posizionamento, in parte, e di sforzi concentrati e coordinati della pubblicità. Ma chi sarà in grado di combinare una campagna effettivamente efficace? E su quale base - regione, vitigno, lifestyle?
Ancora Amanda Crawford: "I giovani entrano e vogliono sapere dove trovare i vini spagnoli. La campagna "Wines of Spain" ha centrato bene quel segmento del mercato, creando un'identità chiara per combattere agli Australiani, e gli Italiani. Proprio efficace, sì".
Nei prossimi post, cercherò di riportarvi pensieri ed osservazioni di due persone impegnate nel trade qui a New York, cominciando con la buyer "molto in gamba" dell'Astor Wines, Lorena Asencios.
Concluderemo con una lunga e franca intervista a Sergio Esposito del Italian Wine Merchants, un esponente di somma importanza del vino italiano negli Stati Uniti. Posso anticiparvi che, secondo Sergio, una campagna Wines of Italy sarebbe disastrosa. Ma per il resto dobbiamo aspettare il prossimo post.
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Le foto di questo post (a partire dall'alto):
1. un'immagine di Manhattan, verso Sud, dalla finestra di casa di Terry Hughes;
2. Terry Hughes in persona;
3. "Questi sono i miei gioielli", la prova della passione di Terry per i nostri vini...